“Perché le tombe antiche
fanno meno malinconia di quelle più nuove?" chiede la
piccola Giannina al padre mentre con un'allegra brigata percorrono la
strada verso la necropoli etrusca di Cerveteri, nel prologo di
Giorgio Bassani al suo romanzo memoriale Il giardino dei Finzi
Contini. "Si capisce - rispose -. I morti da
poco sono più vicini a noi, e appunto per questo gli vogliamo più
bene. Gli etruschi, vedi, è tanto tempo che sono morti […] che è
come se non siano mai vissuti, come se siano sempre stati morti. […] Però, adesso che dici così – proferì dolcemente, -
mi fai pensare che anche gli etruschi sono vissuti, invece, e voglio
bene anche a loro come a tutti gli altri. La successiva
visita alla necropoli si svolse nel segno della straordinaria
tenerezza di questa frase”.
Commosso dalla tenerezza di questo
dialogo, mentre l' auto che trasporta la comitiva silenziosa
ripercorre l'Aurelia verso Roma, il pensiero del narratore corre con
la memoria al cimitero ebraico di Ferrara e sosta davanti alla tomba
monumentale della famiglia dei Finzi Contini.
Il dialogo tra Giannina e suo padre
ispira a Bassani questo romanzo malinconico, lieve e struggente per
la giovinezza perduta, di cui è simbolo Micol Finzi Contini, bionda
e prorompente di vita, giocosa e aspra, svanita nell'orrore di un
lager.
La memoria dell'antica civiltà
conservata nei tumuli erbosi di Cerveteri desta il ricordo di un
giardino segreto, misterioso come i bocci acerbi dell'adolescenza,
custode dei turbamenti di quell'età e custodito nella memoria più
intima e perenne.
Ho letto tanto tempo fa questo romanzo
e, se è vero che dell'incontro autentico con una storia resta non tanto una dettagliata narrazione quanto un sospiro vivo del cuore mentre d'improvviso alla mente tornano immagini e visioni, ecco che
ai miei occhi si ripresenta vivida la scena in cui il protagonista,
dopo aver visto, evidenziato in rosso, il cinque in matematica nei
quadri dei risultati di fine anno scolastico, scappa in bicicletta
per le strade di Ferrara e si ritrova presso il muro alto e
inaccessibile del giardino, nel quale viene introdotto spavaldamente
dalla bionda e sorridente Micol Finzi Contini.
Le immagini del giardino si
ricompongono nella memoria: i campi da tennis, attraversati dalle
snelle figure giovanili vestite di bianco, risuonano delle eleganti
battute delle racchette; la biblioteca e le sale della dimora
signorile spalancano le loro porte per accogliere i giovani ebrei esclusi
per le leggi razziali dai circoli culturali pubblici di Ferrara.
Non il frastuono della violenza ostile
del mondo esterno, ma il bisbiglio delle confessioni intime, manifeste o
sottintese io ascolto, insieme al silenzio eloquente di Alberto,
pallido e fragile, l'unico, tuttavia, dei Finzi Contini destinato a
spegnersi di morte naturale e a riposare nella monumentale tomba di
famiglia del cimitero di Ferrara.
Un'oasi nell'orrore è Il giardino dei
Finzi Contini più che una testimonianza dell'antisemitismo. Un'oasi
rivisitata con tenerezza in seguito alla domanda della piccola
Giannina.
La storia remota, conservata nell'oasi
di Cerveteri, proietta il protagonista in una storia recente che gli
appartiene, purificata di ogni ideologia, nonostante l'esperienza
dolorosa.
Prevale nel racconto l'ansia di vita, seppure minacciata da una folle ideologia. E in realtà il giovane
ingegnere comunista Malnate è l'antagonista sentimentale più che
ideologico nella rievocazione lirica dell'io narrante. Malnate è il
giovane impegnato politicamente, forte e franco nelle sue
convinzioni, al quale Micol, divorata da un'ansia di vita hic et
nunc, concede la sua attenzione materiale, consapevole
dell'impossibilità del sogno nel contingente storico.
Del resto alla palpitante e fuggitiva
Micol non importa niente del futuro, neanche di quello “democratico
e sociale” vagheggiato dal forte e convinto Malnate. Al futuro
Micol preferisce il presente, “ le vierge, le vivace, et le
bel aujourd'hui, e il passato, ancora di più, il
caro, il dolce, il pio passato”.
Alla fine di queste annotazioni,
scritte sull'onda della memoria di una lontana lettura, penso con
malinconia al brano selezionato dagli esperti della Pubblica
Istruzione per la traccia dell'Esame di Stato di quest'anno, e
rabbrividisco al pensiero delle gelide domande rivolte ai giovani
candidati, e mi chiedo se quei signori abbiano mai letto il libro di
Bassani. Ma se pure l'avessero fatto, è certo che non l'hanno
compreso, non con il cuore perlomeno. Non la poesia della memoria,
che anima il racconto, ma le domande retoriche, a risposta pressoché
univoca, e i ragionamenti astrusi sulle tecniche narrative, hanno
ispirato la stesura della traccia d'esame.
E invece Bassani, concludendo il
romanzo, suggella la storia proprio con il cuore, avendo scritto solo
“quel poco che il cuore ha saputo rcordare”.