venerdì 22 giugno 2018

Leggere con il cuore Il giardino dei Finzi Contini


“Perché le tombe antiche fanno meno malinconia di quelle più nuove?" chiede la piccola Giannina al padre mentre con un'allegra brigata percorrono la strada verso la necropoli etrusca di Cerveteri, nel prologo di Giorgio Bassani al suo romanzo memoriale Il giardino dei Finzi Contini. "Si capisce  - rispose -. I morti da poco sono più vicini a noi, e appunto per questo gli vogliamo più bene. Gli etruschi, vedi, è tanto tempo che sono morti […] che è come se non siano mai vissuti, come se siano sempre stati morti. […] Però, adesso che dici così – proferì dolcemente, - mi fai pensare che anche gli etruschi sono vissuti, invece, e voglio bene anche a loro come a tutti gli altri. La successiva visita alla necropoli si svolse nel segno della straordinaria tenerezza di questa frase”.
Commosso dalla tenerezza di questo dialogo, mentre l' auto che trasporta la comitiva silenziosa ripercorre l'Aurelia verso Roma, il pensiero del narratore corre con la memoria al cimitero ebraico di Ferrara e sosta davanti alla tomba monumentale della famiglia dei Finzi Contini.
Il dialogo tra Giannina e suo padre ispira a Bassani questo romanzo malinconico, lieve e struggente per la giovinezza perduta, di cui è simbolo Micol Finzi Contini, bionda e prorompente di vita, giocosa e aspra, svanita nell'orrore di un lager.
La memoria dell'antica civiltà conservata nei tumuli erbosi di Cerveteri desta il ricordo di un giardino segreto, misterioso come i bocci acerbi dell'adolescenza, custode dei turbamenti di quell'età e custodito nella memoria più intima e perenne.
Ho letto tanto tempo fa questo romanzo e, se è vero che dell'incontro autentico con una storia resta non tanto una dettagliata narrazione quanto un sospiro vivo del cuore mentre d'improvviso alla mente tornano immagini e visioni, ecco che ai miei occhi si ripresenta vivida la scena in cui il protagonista, dopo aver visto, evidenziato in rosso, il cinque in matematica nei quadri dei risultati di fine anno scolastico, scappa in bicicletta per le strade di Ferrara e si ritrova presso il muro alto e inaccessibile del giardino, nel quale viene introdotto spavaldamente dalla bionda e sorridente Micol Finzi Contini.
Le immagini del giardino si ricompongono nella memoria: i campi da tennis, attraversati dalle snelle figure giovanili vestite di bianco, risuonano delle eleganti battute delle racchette; la biblioteca e le sale della dimora signorile spalancano le loro porte per accogliere i giovani ebrei esclusi per le leggi razziali dai circoli culturali pubblici di Ferrara.
Non il frastuono della violenza ostile del mondo esterno, ma il bisbiglio delle confessioni intime, manifeste o sottintese io ascolto, insieme al silenzio eloquente di Alberto, pallido e fragile, l'unico, tuttavia, dei Finzi Contini destinato a spegnersi di morte naturale e a riposare nella monumentale tomba di famiglia del cimitero di Ferrara.
Un'oasi nell'orrore è Il giardino dei Finzi Contini più che una testimonianza dell'antisemitismo. Un'oasi rivisitata con tenerezza in seguito alla domanda della piccola Giannina.
La storia remota, conservata nell'oasi di Cerveteri, proietta il protagonista in una storia recente che gli appartiene, purificata di ogni ideologia, nonostante l'esperienza dolorosa.
Prevale nel racconto l'ansia di vita, seppure minacciata da una folle ideologia. E in realtà il giovane ingegnere comunista Malnate è l'antagonista sentimentale più che ideologico nella rievocazione lirica dell'io narrante. Malnate è il giovane impegnato politicamente, forte e franco nelle sue convinzioni, al quale Micol, divorata da un'ansia di vita hic et nunc, concede la sua attenzione materiale, consapevole dell'impossibilità del sogno nel contingente storico.
Del resto alla palpitante e fuggitiva Micol non importa niente del futuro, neanche di quello “democratico e sociale” vagheggiato dal forte e convinto Malnate. Al futuro Micol preferisce il presente, “ le vierge, le vivace, et le bel aujourd'hui, e il passato, ancora di più, il caro, il dolce, il pio passato”.
Alla fine di queste annotazioni, scritte sull'onda della memoria di una lontana lettura, penso con malinconia al brano selezionato dagli esperti della Pubblica Istruzione per la traccia dell'Esame di Stato di quest'anno, e rabbrividisco al pensiero delle gelide domande rivolte ai giovani candidati, e mi chiedo se quei signori abbiano mai letto il libro di Bassani. Ma se pure l'avessero fatto, è certo che non l'hanno compreso, non con il cuore perlomeno. Non la poesia della memoria, che anima il racconto, ma le domande retoriche, a risposta pressoché univoca, e i ragionamenti astrusi sulle tecniche narrative, hanno ispirato la stesura della traccia d'esame.
E invece Bassani, concludendo il romanzo, suggella la storia proprio con il cuore, avendo scritto solo “quel poco che il cuore ha saputo rcordare”.