La semplicità della fiaba fa sorridere. Può sembrare banale e allo stesso tempo impossibile. Roba da bambini che facilmente sono ingannati dalle storie fantastiche.
Nella fiaba il bene e il male, il brutto e il bello hanno forme semplici grazie all'esagerazione. I personaggi sono funzionali allo schema dei valori. L'eroe compie un viaggio di formazione con esito positivo.
Tante fiabe famose raccontano le vicende di un'eroina. Tra le più note c'è quella di Cenerentola. Nel disegno dell'intreccio e nei ruoli dei personaggi di questa fiaba emergono i buoni e i cattivi sentimenti, le qualità belle e quelle brutte.
Cenerentola è umile, obbediente, paziente, solerte, generosa, amica dei semplici e, soprattutto, fiduciosa.
Le sorellastre sono superbe, arroganti, insofferenti, sfaccendate, invidiose, determinate e sicure del successo.
Certo, nella fiaba manca il cosiddetto tuttotondo, la verosimiglianza psicologica. Ma se ricomponiamo in noi le funzioni semplici di protagonisti e antagonisti il tuttotondo si forma. Senza contare il fatto che nelle funzioni ci sono esperienze universali generate dal gioco della vita e dai ruoli che in questo gioco ci tocca giocare.
Quello di Cenerentola è senz'altro uno dei ruoli più ricorrenti nell'universo spaziotemporale al femminile. Per scelta o per destino.
Non sempre però la storia di Cenerentola è a lieto fine. O almeno così pare. Senza dire poi del disprezzo che patisce Cenerentola! L'espressione “è una cenerentola!” equivale alla mortificazione di tutte quelle “virtù” che il personaggio / funzione vorrebbe, invece, trasmettere. Forse la funzione di Cenerentola è la più mortificante tra tutte quelle dei personaggi fiabeschi.
Non so se gli studiosi della fiaba hanno mai pensato che a Cenerentola viene del tutto negata una metamorfosi autentica, specialmente nella versione narrata da C. Perrault.
Quando le sorellastre vanno al ballo dato dal principe lasciano a casa Cenerentola triste e sola. Alla festa lei non potrà partecipare!
Mi piacerebbe proprio che la fiaba finisse qui!
E invece no. Cenerentola ha una madrina che trasforma una zucca in carrozza, i topi in cavalli e cocchiere, le lucertole in lacchè. E, per finire, la madrina fatata con un tocco della sua magica bacchetta muta i cenci di Cenerentola in uno splendido abito da ballo e le sue logore ciabatte in luccicanti scarpine di vetro. Cenerentola, allora, con l'aiuto della madrina sembra cambiarsi in una leggiadra e seducente fanciulla. Sulla carrozza vola al castello in festa. Compare nella sala da ballo facendo tutti trasecolare. Il principe danza solo con lei. La rincorre allo scoccare della mezzanotte per tre notti di seguito. Nella terza fatidica notte egli riesce a tenersi un pegno materiale di quella magica quanto fuggevole bellezza: una delle scarpine di vetro persa da Cenerentola in fuga.
Quella scarpina simboleggia la fragilità dell'incantesimo. È l'inconsistenza stessa di una metamorfosi indotta. L'epilogo della fiaba è universalmente noto. Il principe sposa Cenerentola.
Ora che ci penso, questa è proprio una brutta storia!
Preferirei che Cenerentola si liberasse della madrina e scappasse di casa. In caso contrario sarebbe meglio che continuasse ad essere per tutta la vita la cenciosa Cenerentola.
Solo se Cenerentola, invece della magia della madrina, trovasse la magia del sé, il compimento della fiaba sarebbe felice. Quel tocco magico della bacchetta fatata avverrebbe nell'attraversamento della vita, nel vivere sul proprio corpo tutte le prove del viaggio, nel sorridere delle prove e dello stesso ruolo di Cenerentola!
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