Il tempo della natura ritorna. È una spirale in cui si svolge la “fabula" umana. Dalla nascita alla morte di un singolo, dall'inizio alla fine di un'epoca, dal fiorire al decadere di una civiltà. Il filo della spirale è fitto di intrecci di innumerevoli fili della Storia e delle storie.
Sarà presto ancora una volta Natale e la nascita di un Fanciullo coinciderà col chiudersi di un ciclo annuo. Quasi a segnare la continuità del filo, l'inizio nella fine. Continuità e contiguità. Ma non uguaglianza. Continuità, contiguità e metamorfosi all'unisono. Metamorfosi nel nascere ancora.
Natale nell'inverno. Quando il freddo gela la terra, che si è spogliata della sua veste di fiori e foglie, è Natale. È un germoglio che sorride mentre la terra si raccoglie nel silenzio sotto la neve. È un fiorellino in boccio che sfida il gelo dei cuori.
È Natale nelle città tumultuose, Grotte luminescenti e rumorose. Sulle vie asfaltate o lastricate di antichi basoli passa l'umanità! Tra lo svaporare umido dei fanali il riverbero dei colori assorbe gli odori della folla che sciama ansiosa.
Sarebbe un desiderio oleografico desiderare Natale in una grotta suggestiva, in mezzo ai pastori di una Arcadia perduta.
Natale è qui, tra “le case aggiunte a case”, per “le strade che sboccano nelle strade” dei paesoni e delle metropoli. Nel frastuono c'è il silenzio e la compassione!
Non si può fuggire in un altrove artificiale. L' altrove è nella metamorfosi segnata dalla nascita, tra l'anno che si conclue e quello che incomincia.
Stamattina ho mangiato la marmellata preparata per me da un'amica conosciuta quest'anno grazie alla comunicazione nella Rete. Una marmellata speciale che lei ha chiamato “Testata d'angolo”. È una vera composta di frutti vari, quelli sciupati che, nella nostra dissennata opulenza, scartiamo e destiniamo all'immondezzaio. È una marmellata deliziosa. Ne mangerò ogni giorno fino a Natale. È anche una marmellata simbolo dei frutti raccolti in quest'anno che volge al termine. Tra i più buoni c'è l'amica che mi ha donato la marmellata.
Opportuno ritorna il tempo degli auguri con gli auspici della metamorfosi.
Perciò trascrivo di seguito una nota che scrissi all'inizio dello scorso anno. Sono parole che sperano frutti amicali, di cui ho gustato lietamente nel corso di quest'anno.
Sì il tempo ritorna, ma niente è mai come prima! È sempre meglio di prima, se lo desideriamo di cuore!
I racconti salveranno il mondo
Quando ero adolescente scrivevo il diario. Mi piaceva raccogliermi nel silenzio per rievocare le vicende del giorno trascorso, ripercorrendo gli stati d'animo che avevo attraversato. Inconsapevolmente coltivavo l'abitudine all'introspezione e all'attenzione per la realtà nella quale ero immersa. Mi soffermavo sui volti che avevo scrutato, ascoltato, ai quali avevo concesso o negato il sorriso, catturata dalle emozioni degli incontri. Le pagine si infittivano di parole che davano corpo al vissuto e alle attese. Mi piaceva cercare le parole più adatte. In quella ricerca mi tendevo nello sforzo di capire me stessa e il mondo circostante.
Il ricordo di quella mia abitudine adolescenziale è stato destato da un'intervista radiofonica a Duccio Demetrio, che da molto tempo si occupa di scrittura biografica ed autobiografica (cfr. Duccio Demetrio, Raccontarsi L'autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina 1996).
Docente presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca, Duccio Demetrio, nel 1998, insieme a Saverio Tutino, l'inventore dell'Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano, ha anche fondato La Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari, non lontano dalla mistico “crudo sasso” della Verna.
Durante l'intervista che ho ascoltato lo studioso, avvalendosi delle meditazioni che hanno prodotto la sua ultima opera (Duccio Demetrio, Ascetismo metropolitano, Ponte alla grazie 2009), rispondeva a domande sulla possibilità di una “Ascesi Metropolitana”, ossia di un esercizio di attenzione alla realtà, nelle moderne città paragonabili a un “deserto sovraffollato”.
L'argomento mi è sembrato carico di buoni auspici per il futuro. Ho pensato così di scrivere le suggestioni che me ne sono venute.
È incominciato il nuovo anno. È un anno di confine tra un decennio ed un altro. Potrebbe recare in sé i fermenti di un'era nuova, nella quale gli uomini cessino di essere quelli “della fionda e della pietra”, quelli del tempo in cui “il fratello disse all'altro fratello: "andiamo".
Forse un indizio di questo TEMPO NUOVO è leggibile nel desiderio di comunicare di cui la “rete” è testimonianza. La stessa circolazione delle informazioni e l'infinita possibilità dei contatti sottrarranno a qualsiasi potere la libertà e affideranno il destino umano alle scelte consapevoli degli individui.
Finalmente il progresso della ragione potrebbe non essere separato dall'ingentilirsi del cuore. Nascerà una nuova stirpe. Ogni attività dell'ingegno umano si asterrà, pia, da qualsiasi azione violenta sulla natura e si dedicherà a rendere vivibile la vita dei fratelli.
Allora non più “alle fronde dei salici, per voto”, saranno “appese” le “cetre” dei poeti.
NUOVI INNUMEREVOLI CANTASTORIE allieteranno le nostre città, modulando i racconti di una nuova civiltà. Nuovi rapsodi “cuciranno” le storie in un poema epico senza fine e confini.
OGNI UOMO sarà artefice di questo “nuovo tempo”, se diventerà un GENTILE CANTASTORIE, esplorando il suo cuore con l'apprendere a conoscere o a riconoscere se stesso e a RACCONTARE, innanzitutto a se stesso, la sua storia. Di questo BISOGNO DI NARRAZIONE è necessario divenire consapevoli.
Ma la parola che esprime una storia incarnata nasce dal silenzio di un' “ASCESI”.
“Ascèsi” deriva dal verbo greco “askéō” “io esercito”. L' “ascesi” è corporeo esercizio di quell'attenzione che aspira a comprendere l'altro, lo sconosciuto, lo straniero che ognuno reca in se stesso.
Il desiderio di raccontarsi coincide con il bisogno di conoscersi nel raccoglimento di un'osservazione attenta e pietosa, amorevole ma veritiera.
Coloro che sanno raccontarsi sono in grado di comporre un microcosmo in una storia, rivivendo, nella loro arte, l'infinita gamma dei sentimenti umani. Diventando narratori di se stessi si diventa anche narratori delle vite degli altri, perché la narrazione autentica sgorga dalla COMPASSIONE.
Il silenzio in “ascesi” è esercizio di “compassione”. La “compassione” è un sentimento elevato. È il tratto essenziale dell'essere umano. In fondo ad ogni arte degli uomini esiste la “compassione”, ossia quella capacità di essere in sintonia con la complessità dell'io che riconosce in sé la complessità del mondo, e lo comprende.
La “compassione” tende la mano all'altro, e non esclude nessuno.
La “compassione” fu il soffio ispiratore di uno straordinario esploratore del cuore umano, F. Dostoevskij. E da lui raccolgo e trasmetto l'invito conclusivo. Faccio mie le parole pronunciate dal mite Alesa, il più giovane dei fratelli Karamàzov, nell'epilogo del romanzo :
“ecco, andiamo tenendoci per mano...”.
Sarà presto ancora una volta Natale e la nascita di un Fanciullo coinciderà col chiudersi di un ciclo annuo. Quasi a segnare la continuità del filo, l'inizio nella fine. Continuità e contiguità. Ma non uguaglianza. Continuità, contiguità e metamorfosi all'unisono. Metamorfosi nel nascere ancora.
Natale nell'inverno. Quando il freddo gela la terra, che si è spogliata della sua veste di fiori e foglie, è Natale. È un germoglio che sorride mentre la terra si raccoglie nel silenzio sotto la neve. È un fiorellino in boccio che sfida il gelo dei cuori.
È Natale nelle città tumultuose, Grotte luminescenti e rumorose. Sulle vie asfaltate o lastricate di antichi basoli passa l'umanità! Tra lo svaporare umido dei fanali il riverbero dei colori assorbe gli odori della folla che sciama ansiosa.
Sarebbe un desiderio oleografico desiderare Natale in una grotta suggestiva, in mezzo ai pastori di una Arcadia perduta.
Natale è qui, tra “le case aggiunte a case”, per “le strade che sboccano nelle strade” dei paesoni e delle metropoli. Nel frastuono c'è il silenzio e la compassione!
Non si può fuggire in un altrove artificiale. L' altrove è nella metamorfosi segnata dalla nascita, tra l'anno che si conclue e quello che incomincia.
Stamattina ho mangiato la marmellata preparata per me da un'amica conosciuta quest'anno grazie alla comunicazione nella Rete. Una marmellata speciale che lei ha chiamato “Testata d'angolo”. È una vera composta di frutti vari, quelli sciupati che, nella nostra dissennata opulenza, scartiamo e destiniamo all'immondezzaio. È una marmellata deliziosa. Ne mangerò ogni giorno fino a Natale. È anche una marmellata simbolo dei frutti raccolti in quest'anno che volge al termine. Tra i più buoni c'è l'amica che mi ha donato la marmellata.
Opportuno ritorna il tempo degli auguri con gli auspici della metamorfosi.
Perciò trascrivo di seguito una nota che scrissi all'inizio dello scorso anno. Sono parole che sperano frutti amicali, di cui ho gustato lietamente nel corso di quest'anno.
Sì il tempo ritorna, ma niente è mai come prima! È sempre meglio di prima, se lo desideriamo di cuore!
I racconti salveranno il mondo
Quando ero adolescente scrivevo il diario. Mi piaceva raccogliermi nel silenzio per rievocare le vicende del giorno trascorso, ripercorrendo gli stati d'animo che avevo attraversato. Inconsapevolmente coltivavo l'abitudine all'introspezione e all'attenzione per la realtà nella quale ero immersa. Mi soffermavo sui volti che avevo scrutato, ascoltato, ai quali avevo concesso o negato il sorriso, catturata dalle emozioni degli incontri. Le pagine si infittivano di parole che davano corpo al vissuto e alle attese. Mi piaceva cercare le parole più adatte. In quella ricerca mi tendevo nello sforzo di capire me stessa e il mondo circostante.
Il ricordo di quella mia abitudine adolescenziale è stato destato da un'intervista radiofonica a Duccio Demetrio, che da molto tempo si occupa di scrittura biografica ed autobiografica (cfr. Duccio Demetrio, Raccontarsi L'autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina 1996).
Docente presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca, Duccio Demetrio, nel 1998, insieme a Saverio Tutino, l'inventore dell'Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano, ha anche fondato La Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari, non lontano dalla mistico “crudo sasso” della Verna.
Durante l'intervista che ho ascoltato lo studioso, avvalendosi delle meditazioni che hanno prodotto la sua ultima opera (Duccio Demetrio, Ascetismo metropolitano, Ponte alla grazie 2009), rispondeva a domande sulla possibilità di una “Ascesi Metropolitana”, ossia di un esercizio di attenzione alla realtà, nelle moderne città paragonabili a un “deserto sovraffollato”.
L'argomento mi è sembrato carico di buoni auspici per il futuro. Ho pensato così di scrivere le suggestioni che me ne sono venute.
È incominciato il nuovo anno. È un anno di confine tra un decennio ed un altro. Potrebbe recare in sé i fermenti di un'era nuova, nella quale gli uomini cessino di essere quelli “della fionda e della pietra”, quelli del tempo in cui “il fratello disse all'altro fratello: "andiamo".
Forse un indizio di questo TEMPO NUOVO è leggibile nel desiderio di comunicare di cui la “rete” è testimonianza. La stessa circolazione delle informazioni e l'infinita possibilità dei contatti sottrarranno a qualsiasi potere la libertà e affideranno il destino umano alle scelte consapevoli degli individui.
Finalmente il progresso della ragione potrebbe non essere separato dall'ingentilirsi del cuore. Nascerà una nuova stirpe. Ogni attività dell'ingegno umano si asterrà, pia, da qualsiasi azione violenta sulla natura e si dedicherà a rendere vivibile la vita dei fratelli.
Allora non più “alle fronde dei salici, per voto”, saranno “appese” le “cetre” dei poeti.
NUOVI INNUMEREVOLI CANTASTORIE allieteranno le nostre città, modulando i racconti di una nuova civiltà. Nuovi rapsodi “cuciranno” le storie in un poema epico senza fine e confini.
OGNI UOMO sarà artefice di questo “nuovo tempo”, se diventerà un GENTILE CANTASTORIE, esplorando il suo cuore con l'apprendere a conoscere o a riconoscere se stesso e a RACCONTARE, innanzitutto a se stesso, la sua storia. Di questo BISOGNO DI NARRAZIONE è necessario divenire consapevoli.
Ma la parola che esprime una storia incarnata nasce dal silenzio di un' “ASCESI”.
“Ascèsi” deriva dal verbo greco “askéō” “io esercito”. L' “ascesi” è corporeo esercizio di quell'attenzione che aspira a comprendere l'altro, lo sconosciuto, lo straniero che ognuno reca in se stesso.
Il desiderio di raccontarsi coincide con il bisogno di conoscersi nel raccoglimento di un'osservazione attenta e pietosa, amorevole ma veritiera.
Coloro che sanno raccontarsi sono in grado di comporre un microcosmo in una storia, rivivendo, nella loro arte, l'infinita gamma dei sentimenti umani. Diventando narratori di se stessi si diventa anche narratori delle vite degli altri, perché la narrazione autentica sgorga dalla COMPASSIONE.
Il silenzio in “ascesi” è esercizio di “compassione”. La “compassione” è un sentimento elevato. È il tratto essenziale dell'essere umano. In fondo ad ogni arte degli uomini esiste la “compassione”, ossia quella capacità di essere in sintonia con la complessità dell'io che riconosce in sé la complessità del mondo, e lo comprende.
La “compassione” tende la mano all'altro, e non esclude nessuno.
La “compassione” fu il soffio ispiratore di uno straordinario esploratore del cuore umano, F. Dostoevskij. E da lui raccolgo e trasmetto l'invito conclusivo. Faccio mie le parole pronunciate dal mite Alesa, il più giovane dei fratelli Karamàzov, nell'epilogo del romanzo :
“ecco, andiamo tenendoci per mano...”.
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