Talvolta immersi in una lettura ci aggiriamo in continuo sussulto nei chiaroscuri della coscienza e nei tormenti dell'anima. Assumiamo lo sguardo dolorosamente penetrante di un qualche personaggio reale e ideale insieme, apprendiamo quanto imprevedibili siano le creature umane e inafferrabile la vita. Se è così, stiamo di certo leggendo un libro scritto immediatamente con gli occhi. Henry James è un autore capace di questo. Il suo stile ha la mobilità dello sguardo. Leggerlo equivale ad osservare il dentro e il fuori di noi investiti da una convulsa sensibilità. Dalle atmosfere ridenti e serene di una tenuta inglese immersa nel verde rugiadoso e fiorito di un prato Henry James è capace di trasportarci nella penombra livida di un antico palazzo romano o nella perfezione rinascimentale, ma satura del sentore di antiquariato, di una villa in pieno sole su di un poggio fiorentino. Pervasi da una pungente amarezza sfogliamo la margherita dell'esistenza in “Ritratto di Signora”, colpiti al cuore per sempre da Ralph, biondo, alto, esile, freddamente sorridente nell'ombra cupa della morte, sua instancabile minacciosa compagna, ma appassionato nel profondo, perdutamente innamorato della cugina Isabella e dell'opera d'arte che potrebbe essere la sua vita. Quella vita che infine si fissa in un tragico “ritratto di signora”.
Dopo il lunghissimo e famoso “Ritratto di signora”, lo scrittore americano, innamorato dell'Europa e dell'Italia, scrisse un romanzo, brevissimo ma intenso e carico di “senso”: “Il carteggio Aspern”. Il titolo contiene l'oggetto di una vera e propria “quête”, ovvero della spasmodica “ricerca” del carteggio d'amore di un immaginario poeta spentosi ancora giovane. James inventa infatti la storia di un “letterato” americano, fanatico ammiratore del conterraneo poeta romantico Jeffrey Aspern, “grande nome del secolo”, l'ottocento, “quando il secolo era ancora giovane”. Di Aspern l'anonimo studioso, dopo averne ricostruito la vita e gli amori, scopre che la musa più importante del suo canto è ancora viva e dimora in Venezia, dove giunse giovinetta dall'America.
Nelle prime pagine del racconto ci ritroviamo proprio lungo un canale di Venezia. Da una gondola assumiamo il punto di vista del “cercatore” in stupita attesa davanti a un “vecchio palazzo grigio e rosa, non particolarmente antico” e dall'aria “non tanto di decadenza quanto di pacata rassegnazione”. Veniamo subito a sapere che in questa “malinconica” dimora vive, insieme con la nipote Tina, l'ormai decrepita Miss Juliana Bordereau, la fiamma del defunto estimatissimo poeta Jeffrey Aspern. L'anonimo “letterato”, una “canaglia di pennaiolo”, come lo apostroferà Juliana in una magistrale scena culminante, escogita un piano diabolico per penetrare in quel palazzo della memoria e per approfittare di un simbolico giardino imprevedibilmente sbocciato in mezzo alla laguna. Il “pennaiolo” si dà persino un falso nome, che in verità è l'unico che ci viene concesso di conoscere. Egli brucia di curiosità per il passato del suo poeta. È divorato dal desiderio di entrare in possesso delle lettere scritte da Jeffrey a Juliana e da costei custodite nell'antica e ombrosa dimora. Non vive che per quelle carte “il pennaiolo canaglia”. Arde dalla febbre di far luce sul passato dell'ammiratissimo Aspern e di raccontarlo con la sua arte. Perciò egli non si fa alcuno scrupolo nel tessere una tela di inganni. Senza morsi di coscienza si serve di Miss Tina, la nipote appassita nell'ombra del vetusto palazzo e della passata gloria della zia.
I tre personaggi disegnano un triangolo in cui l'amore viene ad assume sensi differenti.
A un vertice è la decrepita Juliana che cela con un velo verde gli occhi folgoranti che in un tempo lontano incantarono il “divino” Jeffry Aspern. Juliana è il simbolo decaduto di un passato amore, fantasma sigillato in un misterioso carteggio gelosamente custodito come unica testimonianza della poesia sublime che ella stessa ispirò.
Al vertice opposto si trova l'anonimo “pennaiolo” ardente di un amore freddo, quello “antiquario” del biografo critico la cui arte attinge alla vita e all'opera altrui senza nessuna pietà.
Al vertice centrale è Miss Tina, l'unica creatura viva e vera, sebbene si mostri sfiorita senza essere mai sbocciata nell'ombra in cui l'ha relegata lo splendido isolamento della zia.
Aldilà del dimesso aspetto avvizzito e del contegno impacciato, miss Tina è dotata di una freschezza inaudita, di un'autenticità sconosciuta, di una dignità nobilissima, e, soprattutto, di una vitalità sorprendente. Con l'arrivo dello studioso nella grande casa addormentata Tina si risveglia.
Mite, ingenua e sognatrice, ma dotata di un imprevedibile senso della realtà, Miss Tina mi sembra la vera musa di James.
Nella finzione romanzesca Miss Tina rappresenta l'imprevedibilità di un'esistenza reale aldilà della fissazione dell'opera d'arte e degli schemi rigidi dei giochi di ruolo della vita.
Ancora capace di sognare e di stupirsi mentre siede ad un tavolino del Florian insieme all'uomo che l'ha risvegliata dal letargo della sua dimora, Tina ama gratuitamente mentre fornisce con sguardi eloquenti gli indizi per il ritrovamento del misterioso “carteggio Aspern”. È Tina l'unica creatura reale del presente. Il suo cuore palpita davvero. Ella è la custode generosa dell'avida zia, di quell'Euridice mummificata sopravvissuta al suo Orfeo. Dall'Ade in cui è rinchiusa Miss Tina, tornata alla vita, spera di uscire grazie all'amore del novello Orfeo lì approdato.
Ma l'anonimo scrittore, controfigura problematicamente emblematica dello stesso James, insegue il passato. Egli è avido di quel passato come materia della sua arte.
Mi sembra, quindi, che il racconto di James ci metta davanti al tragico tentativo di dare senso alla vita attraverso i fantasmi della mente. Ed è Tina a far dileguare i fantasmi. È lei infatti che brucia ad una ad una le pagine del “carteggio Aspern” e mostra come il mondo sia costituito di creature reali imprevedibili.
Nella conclusione del racconto Tina appare risvegliata, ringiovanita ed abbellita. Con dolcezza ella rivela il suo gesto all'incredulo ed esterrefatto “pennaiolo” condannato per il resto della vita a piangere la perdita del feticistico “carteggio Aspern".
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