Negli articoli dei giornali, nelle
riviste specializzate, nelle lettere di protesta, insomma in tutti i
documenti che leggo contro la proposta del Ministro dell'Istruzione di
aumentare da diciotto a ventiquattro le ore di insegnamento nella
secondaria di primo e secondo grado, non trovo altro che monotoni
elenchi che documentano le tante ore di lavoro che impegnano i docenti ben oltre le diciotto di
lezione. Ancora una volta si ragiona soltanto di numeri e si
sbandierano statistiche e confronti tra la scuola italiana e quelle
degli altri paesi dell'Europa. Non ho trovato, almeno finora, un
racconto significativo dell'indefinibilità del tempo e della fatica del meraviglioso impegnativo lavoro dell'insegnante.
Stamattina, dopo aver parcheggiato la mia sgangherata ultra ventennale Ford Fiesta a ridosso del muro di cinta del piazzale del liceo in cui insegno, sono smontata tutta allegra dell'aria frizzante che mi ha avvolta. Il cielo intensamente celeste sfilacciato di bianco mi augurava buon lavoro. Mentre mi voltavo a chiudere lo sportello, sparse ai miei piedi, ho visto tante noci cascate dall'albero che, dal campo confinante, sopravanza il recinto e coi rami sporge nel parcheggio della scuola. Le noci di fra Galdino! Sorridendo ho pensato ai ragazzi di seconda. Poi mi sono chinata a raccoglierne. Ne ho cercata qualcuna con il mallo, parola che gli alunni ignorano. Ma il mallo, ormai infradiciato mi si è spappolato fra le mani. - Mallo - guscio - gheriglio. Il noce, la noce. In latino “Nux" -.
Tutto questo era accaduto perché qualcuno non ricordava la stagione in cui inizia la storia di Renzo e Lucia e ignorava il tempo in cui si bacchiano le noci. Eppure dalle finestre dell'aula gli occhi si perdono su una distesa di noci e noccioli!
Dove siamo coi nostri corpi, che fine
hanno fatto i nostri sensi?
Allora mi è risuonato in testa il
burocratese della scuola:
- Si rileva la povertà lessicale!
Bisogna potenziare il vocabolario dei discenti, facendo acquisire
loro il lessico specifico per arricchire le possibilità espressive.
Blablabla -. Porcheria!
Mi si è parata poi dinnanzi la faccia
composta, bonariamente accattivante, di Profumo che dallo schermo
televisivo, nel corso della rubrica Leonardo di qualche giorno fa, mi
prediceva la sua scuola del futuro. Una “scuola dei pari”, mi
sembra che l'abbia definita. Mi verrebbe da sghignazzare -“una
scuola dei paria!”-. Era tutto felice il ministro in quel suo
rincuorarci, invitandoci ad immaginare una scuola senza i banchi
ricoperti di formica verde.
- A pensarci bene, potrei anticiparlo.
Quasi quasi porto i ragazzi sotto il noce, e chissà che non ci
capiti di ascoltare anche il canto di qualche usignolo autunnale. Ne
verrebbe fuori una bella lezione sulla natura e sulle figurazioni
della lingua...le metafore insomma.-
Il bello è, signori cari, che il mio
lavoro non lo so proprio conteggiare. Me lo porto appresso, sempre.
Sì, terminata la lezione in aula, quei tanti volti con le
loro ansie e le loro difficoltà sono spesso davanti a me, anche nei
momenti in cui non insegno e non svolgo nessuna delle attività
aggiuntive, o di quelle cosiddette in nero. Magari, nel bel mezzo di
un'attività domestica, ecco uno sguardo che mi fissa con una
richiesta muta. Rimugino. Analizzo. Immagino e mi dico - domani gli
posso parlare così...glielo spiegherò con questo esempio - .
Talvolta, in classe, vedendo qualcuno
perso in
rêverie,
mi capita anche di canticchiare una vecchia canzone - “con il corpo
sono qui, ma la mente mia non c'è, corre dietro a dei ricordi e chi
la ferma più”.
Ecco,
è questo il nodo: - esserci tutti interi con sensibilità e
sentimento e mente. Oh, quant'è delicato, quant'è difficile e
quant'è faticoso il mio lavoro!
Accidenti!
E tutti continuano a contare le ore!
-
Buongiorno , ragazzi! Ecco qua le noci di fra Galdino! Guscio e
gheriglio. Il mallo? Era fradicio, mi è caduto per terra tra le
foglie di quest'autunno fruttifero - .
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