Riscontro ancora una volta l'assenza di
pietà sulla scena del mondo, ma non è una novità, sebbene il
palcoscenico mediatico amplifichi rumorosamente la voglia umana di
lasciarsi andare al giudizio della coscienza altrui. Questo
comportamento ci dice quanto sia più facile giudicare che
testimoniare, anche nel dialogo conflittuale, innanzitutto con la
propria coscienza, la sostanza della fede. Davanti a un fatto di
risonanza mondiale è normale che tutti ne cerchino una
interpretazione. Ma nel frastuono generale prevale l'onda emotiva. E
l'emozione può essere cattiva consigliera. L'emozione è infatti la
reazione istantanea che, se non è sorretta da intuito empatico, non
avendo il tempo di essere temperata dalla ragione, può indurre alla
sconsideratezza. Quante tristi rappresentazioni hanno offerto le
emozioni collettive! Non sono lontane le scene di moltitudini di
uomini che si accaniscono sul cadavere del tiranno o che osannano la
sofferenza umana, esibita come sfida alla fragilità e al silenzio
del declino. L'emozione, priva di sentimento profondo, si compiace
della ritualità, sospinge la folla in cerca di presunti eventi
prodigiosi e può radunarla sotto la finestra di un vecchio papa
sofferente che, fino alla fine, si aggrappa al plauso delle masse per
fuggire la paura della solitudine e della morte.
Mi sembra che oggi prevalga a tal punto
il desiderio di dominare la scena e di esibirsi, che abbiamo quasi
perso del tutto capacità e volontà di considerare che solo il
mistero intimo dell'uomo è sacro. L'acribia analitica distorce la
comprensione, perché dissolve nella fredda disamina della logica
l'essere inafferrabile della persona. Fermarsi a comprendere quali
orizzonti sconfinati schiuda la percezione della propria impotenza
sarebbe un esercizio ascetico e di misericordia. Penso specialmente a
chi è avanti nel cammino della vita e non sempre tiene il passo con
la velocità intricata del nostro tempo. “L’aspetto
d’una
città cambia più in fretta, ahimè! d’un cuore mortale”,
leggiamo nella poesia “Il Cigno” di Charles Baudelaire, che nella
sua Parigi in mutamento si sentì esule come un cigno in cattività.
Accade la solitudine, accade la stanchezza, accade la pietà per la
propria fragilità. Si tratta della pietà caritatevole, del momento
in cui la resa è coraggio e la rinuncia è testimonianza di amore e
speranza. “Ingravescente aetate”, è una dolcissima espressione,
un sospiro sereno, che ci sfugge. Sfugge ad un mondo in cui la
vecchiezza è considerata turpe, presagio odiato della fine. Eppure
viverla è un atto di grande vitalità, una vitalità che non ha
niente a che vedere con la cosmesi del corpo. Viene il momento per
ogni creatura di sentire il richiamo di un ritiro nell'intimo dove
voci silenziose cantano melodie cercate per tutta la vita. Melodie
segrete e seducenti. Non ci si ritira dal mondo, ascoltandole. Vi si
è diversamente presenti. Quella presenza della storia vivente
nell'uomo che non vuole più affannarsi e che contempla con
distaccata comprensione gli eventi che pure dovranno fare il loro
corso. A volte, però, la memoria si ribella, scossa dalla
sedimentazione di tante battaglie perse, dalla illusione
indimenticabile dei sogni giovanili e dalle prove insuperate della
vita. Stamattina dal vociare entusiasmato della radio mi è
arrivato anche l'auspicio che il prossimo potrebbe essere un papa
nigeriano, vicino alle idee della Teologia della liberazione. Ho
pensato, nella mia ignara semplicità, che la liberazione è affidata
esclusivamente alla nostra pietà. E mi sono sentita, in semplicità,
vicina al papa del rigore fragile. Mi sembra che tanto chiasso
teorico sulla liberazione non trovi riscontro nei comportamenti di
fatto. Ho pensato a chi, per esempio, si trovi ad avere un familiare
diverso e vive il dramma in prima persona. Ho pensato a un padre
vecchio come il papa, e all'amoroso rifiuto, e ho sorriso
all'immagine di tanti progressisti della chiesa e della politica , i
quali, sventolando la bandiera della tolleranza e dei diritti, a
volte solo per tenere o conquistare la scena, non hanno alcuna
empatia coi drammi delle vite umane. Mi sono, poi, parse penosamente
inadeguate le esternazioni che hanno voluto mettere in risalto il
pesante retaggio toccato al papa tedesco, successore di quello
polacco. Il papa delle folle osannanti o piangenti era un'icona molto
più ieratica del potere di questo papa schivo e a disagio, che fugge gli
assembramenti plaudenti, ma che è forse più attento all'ascolto del
prossimo sofferente. E chissà che non sia stata la disponibilità ad
un'attenzione più individuale a spingere Joseph Ratzinger ad
affacciarsi sul mondo dei social network! Molto più delle domande
politiche e culturali e di tutte le interpretazioni suscitate dalla
scelta del Papa, sarebbe importante riflettere sulle possibilità
offerte da questo evento. La più straordinaria sarebbe quella di
scegliere la strada della fratellanza nello spirito, tacendo per
sempre sulle scelte civili dei singoli Stati. Così dovrebbe essere
anche per ogni credente. La fede non ha niente a che vedere con le
leggi dello Stato. Ma certamente un seguace di Cristo, qualsiasi
posto occupi nella Chiesa, saprà essere un cittadino al quale stanno
a cuore i diritti dei consimili, e, come tale, in piena libertà
farà le sue scelte politiche nella comunità statale di
appartenenza.
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