giovedì 22 agosto 2013

Pensando a Moritz Erhardt, lo studente tedesco morto a Londra

Un mattino d’aprile, la osservo mentre, smilza e agile, si muove al check-in dell’aeroporto di Capodichino. Si imbarcherà per Londra. Vuole lasciare l’Italia. Gli studi li ha finiti, ormai. Ha concluso di corsa anche il biennio per la laurea magistrale. I capelli di un castano dorato ondeggiano sul cappuccio orlato di pelliccia del piumino. Il bel viso mobile tradisce l’ostinazione di dire addio a Napoli, che lei è determinata ad odiare per i problemi antichi che tutti conoscono. Londra è per lei l’isola che non c’è, il luogo della realizzazione, o, forse, della liberazione. Evita di guardarmi. Anche se non l’ho trattenuta, lei sa che io penso che tornerà presto, dopo un’esperienza lontano da casa, un’esperienza che, sono sicura, le gioverà. Mi imprimo nella mente i suoi movimenti di esperta viaggiatrice, soprattutto quando si china sui bagagli, mentre i capelli setosi le scivolano sul viso. Fino a quando non passa la barriera della polizia non provo nulla. Quando non posso più vederla, esco dall’aeroporto. In auto, non riesco a immaginare nient’altro se non il suo volto bellissimo e determinato, quasi fino alla durezza. Appena varco la soglia di casa, mi precipito al computer. Cerco una canzone che mi è risuonata in testa dal momento in cui l’ho salutata. Eccola: “Prendi il mio cuore…”, è il tema da “In un mercato persiano” di Albert Ketelbey.
Mi lascio sommergere dalla melodia. Non sono ormai nient’altro che sentimento materno. Quando lei era piccina piccina, inventavo filastrocche musicali – “pei tuoi capelli ho reciso l’oro del grano, per i tuoi occhi ho rubato un pezzetto di cielo…”

Sono passati due anni e quattro mesi, e lei è ancora a Londra, da Mc Donald’s. Mi stupiscono la sua forza e il suo ottimismo. – In Italia non ci torno – ripete di continuo. Ma mi telefona tutte le sere. Ogni tanto viene per qualche giorno. E sono giorni esasperati dalla sua irritazione. Ogni volta mi do da fare per confutare i suoi argomenti sulla situazione disastrosa dell’Italia. Ma lei non si convince e se ne torna a Londra, da Mc Donald’s.

E io resto qui a ripensare a come l’ho tirata su. Con i sacrifici colmi di grandi speranze, come ogni altra mamma della terra.

Il ricordo di mia figlia emigrante s’è svegliato forte, oggi, col pensiero della madre di Moritz Erhardt, lo studente tedesco ventunenne che è morto a Londra, dove stava facendo uno stage nella sede britannica della Bank of America, dopo aver lavorato per 72 ore di fila.
 Lascio le disamine sociologiche, economiche e politiche ai professionisti dell’informazione. Da parte mia vorrei testimoniare soltanto lo stato d’animo di una madre al tempo della crisi. Mentre nei Palazzi del potere si ciancia di crescita, ripresa, occupazione giovanile, sciorinando numeri senza senso, io penso a mia figlia emigrata da Mc Donald’s e la signora Erhardt piange suo figlio morto di speranza, e tante altre madri del mondo sono in ansia per i loro figli.

E intanto, l’Italia è prigioniera dei capricci di un vecchio egotista e manipolatore, giudicato reo di frode fiscale, al quale, ahimè, tanti cittadini, che hanno smarrito il senso della realtà, continuano a dare il loro consenso. E intanto, l’intera classe politica italiana, del tutto priva di limpidezza di pensiero e di parola, si barcamena in una palude di sofismi.



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