Mi piace che i luoghi mi diventino
familiari. Ma non è solo l'andarci abitualmente che li rende tali.
Sono i loro abitanti a farmeli amici. Nella libreria dove vado
abitualmente sono a casa. Lì, i miei ospiti multicolori, adagiati
sugli scaffali, mi accolgono in attesa di essere presi tra le mani,
aperti, incontrati, ascoltati. Ma sono tanti tanti, moltissimi di
loro ancora sconosciuti, sicché, appena entrata, sotto i loro
sguardi indagatori, mi sento sempre un po' frastornata. Allora,
d'istinto, mi volto verso il banco della cassa, in cerca dei visi
noti dei giovani librai, che mi sono familiari, e che mi salutano
amichevolmente, non appena mi vedono. Senz'altro ci accomuna
l'interesse per i padroni di casa: i libri. Una ragazza, in
particolare, mi accoglie sempre sorridente e, mentre cerca attraverso
il computer il libro richiesto, se non c'è nessuno in fila, si
intrattiene con me amabilmente. Qualche giorno fa sono entrata in
questa libreria, sperando che fosse arrivato il mio ottocentesco
Shirley. Sì, lo ammetto, sono una vecchia signora fuori moda.
Ma dei miei gusti antiquati Emanuela non si scandalizza, anzi
condivide con me tanti vecchi amori. L'altra sera mi ha mostrato il
libro che avrebbe letto, “Via dalla Pazza folla” di T. Hardy,
prima di comunicarmi che, ahimè, quello ordinato per me non era
ancora arrivato.
Dopo averla salutata, non ho resistito
al solito giro tra gli scaffali. Ho sbirciato le forme colorate, i
nomi e i titoli. Desideravo l'attrazione fatale.
Azzurro, smilzo, agile, un volumetto mi
si è offerto. L'ho preso. Non conoscevo l'autore, Michel Serres, se
non per averne letto qualche citazione negli scritti di un amico. Il
titolo è abilmente accattivante, Non è un mondo per vecchi.
Mi sono sentita chiamata in causa direttamente, specialmente dopo
aver letto la quarta di copertina: “il sistema scolastico, ma anche gli
istituti della politica e della società spettacolo si ostinano a
brillare come stelle morte da tempo, ignare della propria fine. Il
mondo non sarà un posto per vecchi. L'ultraottantenne Michel Serres,
epistemologo tra i più originali, registra sorridente
quell'ineluttabile obsolescenza”.
Alla cassa, mentre pagavo, ho ammiccato
ad Emanuela. Poi me ne sono andata allegramente. In poche ore il
libro è stato letto.
Caro Michel, per restare a galla in
questo mondo, si fa davvero di tutto. Fino a fingere l'ottimismo
esasperato del buon Pangloss, sciorinando, tuttavia, quell'antica, vituperata, sapienza obsoleta, evidente fin dal titolo originale del tuo libro, Petite Poucette, letteralmente, Pollicina.
Il nomignolo eroico dell'antica fiaba
viene così in aiuto dell'erudito storico della scienza, che se ne
serve per designare i nativi digitali, dotati della rivoluzionaria
competenza dei pollici, veri maghi del Nuovo Sapere. Lo scibile
universale infinito, interconnesso, virtualmente innocente,
accessibile tutto intero, senza fatica, e, soprattutto, oggettivo, è
disponibile, hic et nunc, con un clic del pollice di quei “corpi
decapitati” intenti al computer. Quando le Pollicine o i Pollicini
accendono il computer hanno, infatti, le loro teste “ben piene”,
recise, “tra le mani”, come San Dionigi, il vescovo dei primi
cristiani di Parigi, il quale, dopo la decollazione, stando al
racconto di Jacopo da Varagine, si rialzò e, presa la testa in mano,
salì sul colle di Montmartre.
La divisione degli uomini in
pessimisti e ottimisti è antica, ma non affidabile, come ogni
drastica opposizione, del resto. I grandi sapienti e i poeti non sono
mai riusciti a schierarsi ciecamente. Quante volte è stato detto da
molti che l'avvento dell'età dell'oro era alle porte e che il
passato coi suoi errori e dolori era morto per sempre! Tutte queste
volte è accaduto qualcosa che ha fatto ricredere l'umanità.
Tuttavia si sono dovuti ricredere anche coloro che si erano eretti a
strenui difensori del passato, inteso come una conquista
cristallizzabile. Il nodo è tutto qui: nel rischio che la fede cieca
nel nuovo che avanza cristallizzi la realtà e la semplifichi come
fanno coloro che, al contrario, arroccati nella fortezza del passato,
difendono le certezze acquisite, le quali, per lo più, coincidono
coi loro interessi. Questo rischio è sotto gli occhi di tutti gli
uomini dalla mente libera e sgombra da ingannevoli certezze nel corso
della attuale crisi mondiale, che non è soltanto economica.
Stando al racconto di Serres, l'avvento
del sapere digitale porterà al crollo del sapere come potere
centrale, statale e statico, fondato sulla forza delle competenze
schiaccianti di pochi esperti sui molti inesperti e incompetenti.
Questa gerarchia, secondo il pensiero
dell'accademico francese, è antica quanto la storia dell'umanità. A
dimostrazione visiva della sua tesi, egli ci propone due costruzioni
lontane tra loro nel tempo ma identiche nell'ergersi a emblemi della
verticalità del potere, dell'oppressione di un vertice su una base,
la cui ampiezza è la garanzia della stabilità del potere. Questi
due edifici, costati entrambi lacrime e sangue, sono la piramide di
Cheope e la Torre Eiffel.
Ebbene, l'epistemologo francese,
concludendo la sua disamina, preconizza la fine del potere granitico
e centralizzato e descrive il suo progetto virtuale. Pianterà
proprio davanti alla Torre Eiffel un albero che catturerà,
attraverso una "luce laser", le identità individuali codificate in un
computer. Quest'albero luminescente, multicolore e mutevole oscurerà
il rigido emblema di Parigi. Sicché, “di fronte alla Torre
immobile, ferrosa, che porta orgogliosamente il nome dell'autore […]
danzerà nuova, variabile, mobile, fluttuante, variopinta, tigrata,
cangiante, intarsiata, musiva, musicale, caleidoscopica, una torre
volubile fatta di scintille di luce clorata, che rappresenta il
collettivo connesso [...]”.1
Credo che, talvolta, i vecchi pur di
tenere la scena, blandiscano i giovani, spudoratamente, rinnegando se
stessi. Anche io ripeto spesso che mi piacerebbe essere giovane per
vedere tutte le cose belle che accadranno, ma non per questo annullo
quelle della storia, personale e collettiva, che mi hanno fatta
diventare quella che sono. Soprattutto non rinnego la materia e la
carne. Credo che il mondo come sempre si trasformerà e verranno
tempi migliori, fino alla fine del tempo. Anche questi pensieri
confluiranno nei rivoli della rete e si fonderanno nell'oceano di
parole, di suoni, di immagini. Ma, sono convinta che non si potrà
fare a meno della comunicazione tra corpi in carne ed ossa.
Piacerebbe anche a me trasformare lo spazio delle aule, allestirlo
diversamente. Mi piacerebbe in primavera far lezione seduta in
cerchio coi ragazzi, all'ombra di alberi, non virtuali. Ma non mi
pare che la voce degli insegnanti sia necessariamente repressiva e
autocratica. Tuttavia, neanche questo conterebbe. Conta invece la
testimonianza di un sapere che costituisce la persona viva. È un
sapere esiguo, limitato, ma portatore di umanità. Non mi piace
l'immagine di colli mozzi, né di schiene perennemente inarcate al
volante del computer. Solo un vecchio erudito e atterrito all'idea di
scomparire può scrivere con tanta prolissa superficialità.
Quando penso al futuro, quello
prossimo, perché ormai gli anni da venire per me sono una manciata
esigua, immagino che siano ripopolati i paesi antichi sparsi sui
colli, e nelle valli del nostro Bel Paese. Sogno la rinascita
dell'agricoltura, dell'artigianato di ogni tipo e delle arti belle, auspico la rivoluzione di
un'economia umana e cooperativa. Vedo una fucina di idee e progetti
diventare ricostruzione, abbellimento di ogni angolo del pianeta.
L'uomo è un viandante, è vero, ma ha la necessità di sostare,
di intravedere l'oasi, il ristoro. Un viaggio senza fermate è un
precipitare confuso, frenetico, misero. É bello l'andare, ma anche
il tornare, e il ripartire. Si sa che in tanti antichi borghi sono
rimasti solo i vecchi, custodi inamovibili di storie scritte sui muri
cadenti. In questi luoghi mi piacerebbe che andasse Pollicina col suo
sapere rivoluzionario. Quel sapere le cui virtù più splendide sono
la vittoria sull'isolamento e la possibilità infinita di scambiarsi
idee e progetti, in una rielaborazione perennemente feconda. Ecco la
mia Pollicina, umile e saggia, in andirivieni tra siti in costruzione
sulla terra. Una terra rinnovata dal pensiero etereo.
1Michel
Serres, Non è un mondo per vecchi, Bollati Boringhieri
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