Per leggere Villette di Charlotte
Brontë
il cuore deve farsi landa candida di neve, il cui gelido bagliore di
emozioni trattenute possa comprendere il cuore antico di Lucy Snowe
(il nome è un ossimoro rivelatore, evocando ed accostando gli opposti
campi semantici di “luce” e di neve”), narratrice interna ed
eroina nivea del racconto. Se si è in grado di vivere questo
contrasto, seduti in solitaria ombra, si scoprirà il mondo con la
medesima perspicacia di Lucy, i cui occhi bevono luce dal cuore, un
cuore educato a dominare il dolore precocemente vissuto. Sul cuore
vigila, infatti, la mente, come sentinella ostinata delle passioni.
Ma, in questo sforzo di compressione dei sentimenti e di volontaria
rinuncia alla felicità, nell'illusione che il venir meno del
desiderio preservi dalla delusione e, quindi, dall'infelicità,
capita, talvolta, che la mente, assediata da una sorta di febbre,
ceda. Allora, finalmente, Lucy sprigiona dal cuore sepolto nella
neve quell'energia appassionata della sua anima anticonformista.
Nel
passato di Lucy sono celati eventi dolorosi, che non vengono narrati,
come se il pudore, custode della sacra intimità, trattenesse la voce
e la penna.
Pudore
e forza d'animo sono, del resto, le due virtù coltivate da Lucy. E
queste virtù le permettono di scoprire la sua vocazione per
l'insegnamento.
Nell'incipit
del romanzo si è costretti a cercare un cantuccio in ombra e ad
assumere, come fa Lucy, il ruolo di osservatori. Lucy, infatti,
ancora adolescente, osserva il teatro della vita e ne intuisce le
trame, che sono già compiute nella sua visionaria immaginazione. Lo
sguardo analitico è sorretto dalla calda ispirazione che la natura
ha elargito generosamente a Lucy, quasi per ricompensarla di quella
mancanza di avvenenza tanto rimpianta in qualche pagina cruciale
della narrazione. Ed è il rimpianto per la bellezza negatale dalla
sorte a rendere umana e oltremodo femminile Lucy Snowe. In questi
momenti, il ghiacciato pensiero, vinto dalle emozioni, si incrina, si
scioglie la neve e denuda le passioni del cuore.
Un
cuore siffatto mira alla contemplazione della bellezza e alla ricerca
della verità. Ed è il cuore di una donna che, per vocazione
riconosciuta e narrata, accompagna al compimento del loro destino
coloro che si imbattono in lei.
Sicché,
la sorte vuole che Lucy lasci l'Inghilterra e che, al di là della
Manica, in una cittadina della Labassecour,
l'immaginaria Villette,
verosimilmente Bruxelles, sia assunta come insegnante di Inglese presso un
educandato femminile diretto sapientemente da una donna astuta e
calcolatrice, madame Beck.
A
convincere madame dell'affidabilità di Lucy è monsieur Paul
Emanuel, parente della direttrice e carismatico insegnante nella
medesima scuola. Questo “ometto bruno e smilzo, con gli occhiali”
è “l'arbitro del destino” di Lucy e il suo pigmalione. Monsieur
Paul sa che la compostezza schiva di quella dimessa miss inglese cela
e comprime il desiderio di un cuore ardente.
Ma
Lucy non è una statua. È una donna libera e determinata. Lei che
con mani tremanti e cuore in tumulto apre e legge le lettere
amichevoli del dottor Jhon, nella consapevolezza, malinconica ma non
invidiosa, che quell'uomo bello nell'aspetto e nobile nel cuore è
destinato alla altrettanto nobile e bella Paulina, non trema davanti
a monsieur Paul Emanuel. La relazione con lo stimato professore segna
la crescita di entrambi e la reciproca profonda conoscenza. Questa
relazione trascende la soddisfazione affettiva egoistica, e libera
l'intelletto e il cuore dell'una e dell'altro. Entrambi, infatti,
maturano la consapevolezza del loro sé autentico attraverso
l'incontro e il conflitto, in un dialogo che è interessante anche
sul piano interculturale. In questo senso il punto di vista
dell'autrice mette in risalto il rigore etico e la libertà della
fede del Protestantesimo a discapito del bigottismo oppressivo della
Chiesa di Roma.
Questo
punto di vista etico, tuttavia, non impedisce doni scambievoli che
culminano nel dialogo conviviale fra Lucy e Paul Emanuel, in una sera
primaverile, allusiva di una rinascita, sul balcone fiorito di una
graziosa casa di un faubourg di Villette. In questa casa monsieur
Paul ha allestito una scuola per giovani educande, e ora, in procinto
di partire per la Guadalupe, ne affida la direzione a miss Snowe.
Nello
scambio di doni avviene il riconoscimento reciproco. E il
riconoscimento trattiene in se stesso la riconoscenza. È questo il
momento dell'inesprimibile: “la parola, fragile, non malleabile e
fredda come ghiaccio si dissolveva o si spezzava nello sforzo” (
Charlotte Brontë,
Villette, Fazi editore, p. 624).
Qualcuno
ha scritto che i lettori di Villette restano delusi dall'assenza di
lieto fine.
Non
è così.
Charlotte
Brontë sa essere
visionaria. Celandosi in Lucy, guida il lettore in una traversata
senza sponde sicure, e senza l'approdo. Perciò, il capitolo “Finis”,
l'ultimo del romanzo, è affidato all'immaginazione del lettore che
viene invitato ad inventare gli esiti di una tempesta sull'oceano,
tempesta evocata da una scrittura più onirica che narrativa. La
penna sembra infatti inseguire le immagini di un sogno,
come per comunicare che ogni sostanza della vita, bene e male, dolore
e gioia non sono che un sogno che cela qualcos'altro nell'immaginario
non finito dello scrittore, o, forse, soprattutto del lettore. Il
lettore, infatti, nel corso del racconto, viene ripetutamente
apostrofato, come se fosse un testimone coinvolto negli eventi e
prendesse parte alla stessa narrazione. In
questa volontà di coinvolgere il lettore è distillata la sapienza
sacra di Lucy / Charlotte, quella sapienza che trattiene l'emozione e la trasforma in
attesa ispirata:
“Fermati, fermati subito. È stato detto abbastanza. Non turbare nessun cuore tranquillo e buono; lascia che l'immaginazione speri ancora. Sia concesso di sognare la delizia della gioia che rinasce dal grande terrore, il rapimento della salvezza dal pericolo, il meraviglioso sollievo dell'angoscia, il godimento del ritorno. Possiamo immaginare anche il ritorno e la vita felice che seguirà”.
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