Come Cenerentola arrivo tardi alla
festa e per giunta senza scarpette di cristallo. Ma in ciabatte e
grembiule. Di soppiatto, mi sottraggo ai fornelli, e mi rannicchio
sulla sedia a dondolo lì accanto, davanti allo schermo del
televisore.
Faccio partire la registrazione di un film uscito un paio
d'anni fa. L'ho cercato ardentemente. Stesso regista e stesso attore
protagonista del recente “Molière in bicicletta”. Quando
m'innamoro di un'opera umana, brucio e cedo volentieri alla passione.
E allora devo narrarla. Non per recensire l'opera. Del resto, i
critici esperti, se non sono un po' poeti, non mi sono mai andati
molto a genio. Racconto sommessamente e alla buona, tanto per …
raccontarmi … in fondo.
Ecco, partono le prime immagini col
titolo sovrimpresso: “Le donne del 6° piano” di Philippe Le
Guay.
Arretro di cinquant'anni, stavolta, per
finire al sesto piano di un palazzo parigino, dove si trova anche l'appartamento abitato da un
“signorotto-mago della finanza” abitudinario e triste.
Il sesto piano è una sorta di "altrove", interno all'edificio stesso, riservato alla servitù, tutta
femminile. Sono serve spagnole, che, a quanto pare, "andavano di moda" in
Francia, soppiantando quelle bretoni, negli anni sessanta del secolo
scorso (proprio come accade oggi, da noi, col susseguirsi di Filippine, Polacche, Ucraine o Rumene), emigrate per lavorare, ma anche
per fuggire dal regime franchista, come testimonia una di loro, la
rude Carmen, “pasionaria” comunista, impegnata a volantinare
contro le dittature, nei momenti di libertà.
Sono donne autentiche, ingenue e forti,
devote e appassionate, generose e accorte. Mandano avanti la casa di
signore inconcludenti dell'alta borghesia francese. Volteggiano
lievi tra gli acquai e i fornelli, fatate cenerentole dal tocco
magico. Laddove si aggirano, tutto risplende e va al suo posto:
brillano a specchio i mobili; l'argenteria riluce; si svuotano ceste
di biancheria sporca; pile di indumenti accuratamente stirati
finiscono in bell'ordine negli armadi.
Un bel giorno arriva in mezzo a loro
anche Maria, dolcemente determinata, umile regina dei suoi
sentimenti, irresistibile bellezza, adorna di crestina e camice
impeccabili. Grazie a lei Jean-Louis, il signorotto, del palazzo -
che meraviglia! - può finalmente gustarsi l'uovo à la coque cotto a
puntino.
Da questa modesta gioia del palato
inizia la metamorfosi del banchiere.
Ma la metamorfosi, come è noto,
passa per una “discesa” all'inferno attraverso un passaggio
segreto. Il varco fatale per Jean-Louis è la porta sulle scale che,
inerpicandosi lungo le pareti umide e sbrecciate, salgono, dal suo
appartamento confortevole, fino al ballatoio del sesto piano. Qui si
aprono le camere delle serve spagnole, che condividono l'unica stanza
da bagno, col gabinetto alla turca intasato e maleodorante proprio come
l'inferno. Qui dimora anche Maria.
Va da sé che il mago della
finanza si tramuti in benefattore per amore, conquistandosi la stima
e l'affetto di quello sconosciuto universo di autentica femminilità.
Ma che importano la storia raccontata e
la sua trama! Importa, invece, la compagnia della gioia alata di presenze
lievi, nonostante i pesi della vita. Importano i colori inventati da
una macchina da presa superbamente sensibile, che m'ha scaldato il
cuore, pur rappresentando la crudezza del reale. Quel reale che, agli
occhi incapaci di attraversarlo nella sua profondità, sembra
l'inferno, e che, invece, può celare speranza di vita inaspettata,
come scopre Jean-Louis quando osa esplorare l'ignoto, proprio lì
vicino a lui, dentro di lui, al sesto piano interno della sua casa.
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