Misterioso
è l'affiorare di un ricordo, come il formarsi dei sogni. Un
turbamento all'origine di entrambi, conscio o inconscio, smuove
l'opacità del quotidiano, la fruga, e fuga nebbie stratificate.
Meraviglia e dolore scuotono la normalità.
Così
è affiorata Alcesti, eroina dimenticata, tenera e coraggiosa in
attesa della morte, Tànato, che vanta con Apollo il tocco funesto
della sua spada e gode della gloria di rapire una giovane vita.
Qualcuno,
forse, si chiederà chi sia Alcesti. Alcesti è la moglie di Admeto,
il re di Fere, in Tessaglia. La sua storia fu messa in tragedia da
Euripide.
Quando
il destino di morte fu decretato per Admeto, Apollo ottenne che
qualcuno potesse offrirsi al suo posto. Ma nessuno accettò questo
sacrificio, nemmeno i genitori dello sfortunato re. Solo la sposa
Alcesti donò la sua vita per la salvezza di Admeto.
La
tragedia mette in scena il culmine della sventura abbattutasi sulla
casa di Admeto. Dopo il suo ingresso nell'orchestra, il coro commenta
il dolore e piange la regina sposa e madre. Ci attraversa il cuore
una frase - Quando
sui buoni piomba la sciagura, triste divien chi buono è per natura –
perché ci fa pensare a come il dolore si espanda dall'individuo alla
comunità, quando ancora il sentimento della morte non sia stato
rimosso e fugato da un voler ignorare a tutti costi il destino
dell'uomo.
Lo
stesso Admeto, del resto, accetta il sacrificio della sposa. E
giustamente il re Ferete, incolpato dal figlio come responsabile del
sacrificio di Alcesti, perché, nonostante la tarda età, ha avuto
paura di morire al suo posto, gli rinfaccia che lui stesso ha avuto
orrore della morte.
Nel
dialogo tra padre e figlio si manifesta il pensiero del buon senso
comune, e cioè che la vita è cara più d'ogni altro bene e che
nessuno vuole perderla neppure chi è vecchio e cosciente del tempo
esiguo che gli rimane. Il logico buon senso fa dire a Ferete - La
luce t'è cara. Pensi che al tuo padre cara non sia? Della mia vita,
certo, poco mi resta; e il poco è pur dolce: ben lunghi giorni
sotterra passerò: ma tu, tu combattesti svergognatamente, per non
morire; e vivi; e sei sfuggito al tuo destino, e uccisa hai la tua
sposa.-
La
sposa Alcesti mentre sente che lo spirito vitale l'abbandona è
soprattutto la madre che, smarrita, saluta le sue creature
scongiurando gli dei di allontanare da loro un triste destino. La
fragile e generosa Alcesti non è per niente plateale, è un'eroina
dimessa e casalinga, osa appena appena implorare Admeto di non dare
ai suoi figli una matrigna. Lei che muore anzi tempo per amore sa
bene che il tempo guarisce le perdite e che Admeto si consolerà
prima o poi della vedovanza.
La storia si svolge nella casa di un re,
ma la grandezza di Euripide è in quel suo rappresentare la tragedia
della normalità smorzando i toni e sfatando i miti.
Ma cosa c'è di
più eroico di un dono così grande offerto nel silenzio domestico?
Questa eccezionale dimensione la comprende bene Eracle che viene
ospitato da Admeto proprio nel momento in cui si compiono i funerali
di Alcesti. L'eroe non sa quale lutto abbia colpito il re di Fère,
ma, conosciuta la verità, scende nell'ade e combatte con Tànato
fino a che non gli strappa Alcesti e la riconduce alla vita.
La tragedia termina con l'incredulo Admeto che si
vede consegnare dal figlio di Zeus una sconosciuta da ospitare.
Quella sconosciuta che tace misteriosa innanzi a lui è la sua sposa.
Ad Alcesti, dice Ercole, non è concesso udire le voci di chi l'ama
“se pria non venga purificata dagli influssi inferni, e giunga il
terzo giorno”.
Il dramma si chiude con l'espressione di giubilo
di Admeto che esclama la sua felicità, mentre noi ci sorprendiamo a
meditare sulla bellezza e la verità del senso di questa storia: il dono della vita e il dono dell'ospitalità sono più forti della morte.
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