Solo un mese e anche il
duemilaquattordici sarà passato. Negli archivi si accumulano i
documenti a disposizione di chi scriverà la Storia. Trascorrono in attimi i secoli e si addensano, frantumati, negli eventi che
sembrano i più importanti. Le immagini fermate non sempre le
riconosciamo come nostre. Per noi che ancora ci siamo, è
presente e vivo il passato che custodiamo attuale alla memoria.
Nel
silenzio di quest'autunno indolente, mentre pare che le foglie non
vogliano cedere e abbandonare il ramo, si incidono, presenti e vivi,
i volti di coloro che sono fuggiti via, oltre, e fuori dalla corsa affannata dell'anno, e hanno tagliato il traguardo, vincendo sul tempo.
Tonino
Moro, irridente e sensuale, come un
pescatore amalfitano modellato dalle onde, volgevi
alle cose della terra lo sguardo ammiccante, come il guizzo di luce
che tante volte avevi contemplato sul mare splendido e beffardo,
palpitante e malinconico. Lasciasti la torre angioina, quasi generata
dalle stesse rocce a guardia del mare, per approdare sulla rena
lavica di un'altra città marinara, un'altra Torre, dalla quale
spiavi un altro orizzonte. Proprio come Ntoni Malavoglia, avevi
salutato un pugno di case biancheggianti nel riverbero azzurro di
cielo e mare, perché volevi un'altra vita. E l'avesti. Ma sapesti
mantenere l'antica saggezza nella nuova avventura. Hai seminato semi
buoni. Ora sei tornato alla salda torre angioina, in
quell'incredibile azzurro, sorridente pulviscolo disperso nell'etere,
diffuso nel mare.
Luigi
Mi telefonavi all'improvviso e
rallegravi i miei difficili vent'anni coi tuoi inviti generosi che
hanno scavato nella mia vita il meglio di quella che sono.
-Stasera io e mia moglie ti portiamo
al cinema, svelta, preparati. Si va al No, una sala d'essai. Poi ci
faremo una pizza in Piazza Bellini -.
E così, si stellava, imprevedibilmente,
una sera caliginosa della mia verde età.
L'emozione mi vela le pupille nel dirti
la mia gratitudine, Amico mio. M'hai amata come la figlia che
desideravi, o come una sorellina che non avevi. Mi insegnasti il
bello, tracciando linee sul tavolo da disegno dello studio. Mi
conforta tuttora il ricordo dei libri multicolori posati tra gli
scaffali bianchi di quella libreria che m'innamorò e che
reinventasti per me, quando andai sposa.
Quante volte, nella risata
che ti scuoteva nervosamente le gambe accavallate sulla poltrona
catalana accanto al fuoco, ho sentito la tua paura della vecchiaia e
della morte!
Quarant'anni fa, appena ieri...
adesso!
La mia semplicità ti dava gioia. A
questo pensiero si addolcisce
il rimpianto, mentre mi
sembra di riascoltare, insieme a te, lo scorrere maestoso della
Moldava o l'incrociarsi
frenetico delle Danze Ungheresi, come
eravamo soliti fare in quel tempo che per me non sarà mai passato.
Ti so, comunque,
placato. Ti vegliano ora le argentee chiome degli amati olivi, ondeggianti su quelle colline che ancora riecheggiano la storia di
Carlo Pisacane, la stessa vicenda che – te ne ricordi, Luigi? - mi
portasti a vedere al cinema No, quella sera di tanti anni fa.
Natale
Una mezzaluna
crescente illumina l'ultima notte di questo novembre. Aspettiamo il
Natale.
Che strano il
ritorno del tempo andato, mentre l'anno declina!
Altri autunni si
accendono nella memoria. Quelli vissuti nei collettivi di partito
negli anni Settanta. Le sezioni con le pareti tappezzate di
manifesti: le bandiere rosse con la falce e il martello, il Quarto
Stato, i ritratti di Gramsci e del Che. La luce giallognola era calda
come i progetti e le speranze.
E tu,
compagno Natale, nel sorriso buono parlavi di quelle speranze.
Mi
comprendesti nella mia ingenua partecipazione, e mi volesti subito
bene. Io lo sentii e tu capisti che mi fidavo del compagno alto e
dinoccolato, dai gesti pacati, intento ad osservare un'ardente
compagna sconosciuta. Quando mi incontravi per strada ti fermavi a
parlarmi, schivo e dolce, ma non sapevi celare il piacere di vedermi.
Di questo tuo affetto discreto ti sono grata, anche oggi, compagno
Natale!
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