Quotidianamente sono raggiunta da
innumerevoli informazioni, visto che, come quasi tutti ormai sul
nostro pianeta, sono iperconnessa grazie ai tanti strumenti di
comunicazione, lo smartphone, ma anche la vecchia amica radio, una
Tivoli Audio model one di legno laccato di bianco, che accendo
insieme al fornello mentre mi preparo il caffè del buongiorno.
Stamattina alle sei e un quarto è
ancora buio quando, appena sveglia, entro in cucina e, prima della
caffettiera, afferro, decisa, una pila di compiti da correggere e dal
marmo della credenza li sposto sul tavolo, con la ferma intenzione di
leggerli e valutarli tutti. Dopo aver sbirciato il primo, ho messo su
il caffè, a radio spenta. Mentre l'aroma profuma il silenzio
accogliente, preparo anche il rito della penna rossa. Poltrona e
occhiali sono pronti. Mi accomodo sulla prima, inforco i secondi,
verso l'elisir del mattino in una tazza capiente e comincio a
sorseggiarlo mentre scorro con gli occhi le riflessioni fatte dagli
studenti sulla Lettera a M. Chauvet, quella in cui Alessandro Manzoni
argomenta il suo pensiero sulle unità aristoteliche nella tragedia.
Allora mi sorprende l'idea che in fondo
la correzione dei compiti non è tanto noiosa se (come dice Manzoni a
proposito del lavoro del poeta nella lettera a Chauvet e come gli
studenti hanno ben compreso e rilevato) ci si attiene al “vero”
della storia e in questa si cerca, dipanandolo, il filo conduttore
che racconta l'altro da noi, silente nel testo scritto, ma
rintracciabile persino in un compito scolastico nel quale, anche la
grafia è un indizio della storia.
Tra una correzione e l'altra
accompagnate dal mio pensiero errante, si sono fatte le sette e un
quarto. È ora di accendere la radio, già sintonizzata sul terzo
canale. Mentre leggo i lavori dei ragazzi, ascolto Giannantonio
Stella che, a sua volta, legge le notizie del giorno dai quotidiani
nazionali. Nessuna di esse attrae la mia attenzione, forse perché
sono concentratissima sulla questione “storia e poesia”
affrontata da Manzoni e spiegata dagli studenti.
Si fanno intanto le
otto. Da quasi due ore, grazie ai compiti dei ragazzi, medito
ripetutamente sul testo manzoniano che, perciò, mi diviene sempre
più ricco di senso.
Nel frattempo inizia il dialogo del
giornalista con gli ascoltatori che hanno telefonato per focalizzare
l'attenzione sulle questioni che stanno loro più a cuore. Sospendo
la lettura due volte perché si parla di scuola. E questo, si sa, mi
sta a cuore. La prima telefonata non è altro che una noiosa
lamentela di un controllore contabile sullo scarsa considerazione in
cui è tenuto il suo lavoro. La seconda è quella di una
professoressa che recrimina sulle novità introdotte riguardo alla
prova d'italiano del prossimo Esame di Stato. Secondo il parere della
signora il cambiamento improvviso è inopportuno perché sul mercato
editoriale mancano pubblicazioni di esercitazioni didattiche utili ad
affrontare il nuovo tipo di prova.
Allora riguardo con stupore, o, se vi
pare meglio, con stupidità, il testo e la traccia che ho proposto
agli studenti e mi chiedo il perché del lamentarsi di non contare nulla nei
destini della scuola se poi ci si percepisce come incapaci di preparare una
prova di scrittura che attesti la padronanza logico espressiva dei
maturandi. Ma soprattutto mi sorprende il sentimento frustrante che
coglie quanti non riescono ad oltrepassare l'orizzonte grigio
disegnato dalle consegne burocratiche.
Con lo sguardo ritorno ai compiti a me
presenti. In essi è adombrata la verità. Dentro quei testi,
compresa la traccia, c'è un filo conduttore da trovare e di cui si
può aver cura per tracciare tanti sentieri di conoscenza e di vita.
Un altro barlume mi si accende, dopo
tanti anni di insegnamento: come dice lo stesso Manzoni nella lettera
a M. Chauvet, riferendosi al compito del poeta, a noi non tocca
“inventare dei fatti” perché “questo genere di invenzioni
richiede ben poca immaginazione […] mentre tutti i grandi monumenti
poetici hanno a base avvenimenti tratti dalla storia”.
Ecco, nel corso del mio peregrinare didattico, giungo oggi a questo: non ho niente da inventare. Mi limito a prestare la voce alla tradizione letteraria per dare vita ai testi umani e per accoglierli, qui ed ora, insieme alla comunità classe.
Volgendo il pensiero alla situazione
attuale più in generale, ritengo che ci si possa impegnare
essenzialmente in questo, a far emergere la nascosta potenza della
poesia attraverso molteplici voci, in maniera soggettiva ma non
arbitraria, facendola brillare oltre la cortina polverosa di quelle
tecniche che rischiano di soffocare la potenza di sentimento e di
immaginazione di ogni lettore.
Chissà! Forse lungo il sentiero dell'ascolto aperto all'immaginazione, potranno sciogliersi molti nodi nella scuola, che attualmente è vissuta da tanti come una gabbia insopportabile.
Chissà! Forse lungo il sentiero dell'ascolto aperto all'immaginazione, potranno sciogliersi molti nodi nella scuola, che attualmente è vissuta da tanti come una gabbia insopportabile.
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