Il film L'Artista, con la raffinata
eloquenza scenografica e la straordinaria mimica dei protagonisti
scandita da una musica avvolgente, gioca con le ombre e le luci della
crisi del 1929. Sulla doppia scena del cinema e della vita, recita e
vive, (ma le due arti si confondono nelle sequenze della trama) un
grande attore del cinema muto, George Valentin. George è assurto
allo stato divino dell'artista in grado di tradurre nel volto e nella
gestualità le storie contemplate nella vita. Gli occhi splendenti e
il sorriso radioso catturano e seducono gli spettatori.
Ma l'avvento del sonoro incrina la fama
di George Valentin che, turbato dal rumore delle parole, si ostina a
proporre la rappresentazione della vita con l'eloquenza muta della
mimica, perché è convinto che l'arte dell'attore sia affidata
esclusivamente all'intensità delle “smorfie” del volto e alla
drammatica flessibilità corporea in grado di assecondare la
sensibilità immaginativa.
Poi la Fortuna, mutevole dea che muta
le sorti degli uomini e ne intrica le storie, annoda il declino di
George all'ascesa trionfante di una giovane donna, Peppy Miller, già
ammiratrice estasiata dall'arte di lui. Peppy ama George
integralmente. Ne ha colto l'ingenua umana dedizione all'arte come
amata compagna della vita.
Ma l'arte riconosciuta dalla fama è
soggetta al tradimento. Non è così se essa è compresa dall'amore
autentico. Gli amanti sono coloro che colgono l'essenza dell'amato e
di quella nutrono il desiderio infinito dell'altro. E George Valentin è amato da tre
creature, angeli che lo restituiscono a quel sé autentico che lui
non riconosce più. Due di queste creature, il suo cane e il suo
maggiordomo, gli restano accanto anche quando, spentesi le luci della
ribalta, George rimane povero in canna.
Ma è Peppy l'angelo
salvifico. E non perché, dopo essere diventata famosa e ricca,
sottrae alla perdita tutte le cose più care di George, acquistandole
all'asta, ma perché gli dona la speranza, confidando in lui. La
fede di Peppy persuade Valentin a vivere e a non temere le
metamorfosi dell'esistente, attraendolo nella magia della
danza, gioco corporeo, arte senza parole, quelle parole che George è
convinto di non saper modulare. E così la storia si chiude con un
gioioso tip tap. A passo di danza George varca sorridente la soglia
del nuovo mondo, al quale può ancora regalare le gioie della sua
arte.
L'Artista è un film lieve e
appassionato, un film per gli amanti della vita bella. La vita bella
non è la bella vita nel senso di dolce vita. È l'arte di
dimenticare affinché sia concessa alla memoria la possibilità di
fecondare i semi nel grembo dell'oblio, i quali, come quelli nascosti
nel grembo della terra, germoglieranno verdi e fioriti all'eterno
ritorno di Primavera.
La struttura metanarrativa dona al film
profondità filosofica, moltiplicando le prospettive della finzione,
ma la scelta del regista di creare un'opera muta, per denunciare la
crisi epocale che investì e rinnovò anche il cinema, è un poetico
tributo d'amore al muto. La poesia del film L'artista racconta
l'arte rimpianta da George Valentin e ne celebra quel valore ingenuo
e grandioso che è proprio dell'arte poetica ai suoi albori,
allorquando gli uomini artisti “avvertono con animo perturbato e
commosso”, per dirla con le parole più note di Giambattista Vico.
E del resto nella parola attore c'è tutto il senso di quest'arte.
Infatti, l'attore agisce la vita sulla scena, incarnandola nel
patimento del suo corpo, senza il rumore delle parole, ovvero senza
il gelido lògos. In questa ri-creazione consiste la poesia del film L'Artista,
che sono contenta di aver visto in ritardo, quando il rumore delle
critiche, che sempre accompagnano la fama, si è spento, e, nel
silenzio, si può riconoscere il segno eterno dell'arte che brilla
oltre il passare del tempo, soprattutto di questo nostro tempo troppo
rumoroso.
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