In
tutte le culture del mondo esiste la metafora del giardino. Il
giardino è una metafora che addensa molti significati. Il più noto
è nel termine paradiso, che, derivato dal greco παράδεισος
(paràdeisos) a sua volta importato dal
persiano pairidaeza,
significa giardino
e designa uno stato di felicità e di pienezza. Il vocabolo giardino
proviene, invece, dal francone *gardo. In entrambe le etimologie è
insito il significato di luogo recintato. Paradiso e giardino evocano
quindi un luogo in cui la natura assume forme armoniose fino a
rappresentare la condizione di compiuta beatitudine.
Il
giardino della realtà è, invece, una creazione dell'uomo. Come il
poeta, il pittore e il musicista, anche il giardiniere crea sinfonie
di forme e colori in un recinto ideale. Di quest'arte sono testimoni
tanti giardini italiani. Quelli rinascimentali furono allestiti come
delle autentiche architetture naturali ispirate da quell'ideale di
equilibrio formale insito nel classicismo.
Ad
inventare l'armonia nella natura dedica tutta la sua vita il
protagonista di un elegante racconto, Memorie di un vecchio
giardiniere, dello scrittore inglese Reginald Arkell, autore, tra
l'altro, di opere musicali composte per il London Theater.
Herbert
Pinnegar, è un trovatello fragile e zoppo che ama vagare nella
campagna inglese tra le variegate specie di fiori selvatici. Un
giorno decide di partecipare ad una competizione di composizioni
floreali. È un bambino schivo quello che si presenta davanti alla
giuria tenendo in mano un mazzolino di fiori acquatici raccolti lungo
il vecchio canale di collegamento tra il fiume Severn e il Tamigi,
meta abituale dei suoi vagabondaggi. A presiedere la giuria c'è una
bella signora, la stessa alla quale Herbert è già apparso
“barcollando sotto il peso di una sedia sdraio grande quanto lui”.
Come nelle fiabe l'esito della gara è affidato ad una fata. Quando
viene proclamato il vincitore del gruppo dei bambini, Herbert si
stupisce fino a confondersi. Il primo premio tocca a lui. È stato
scelto dalla bella signora per l'originalità della sua composizione
di fiori acquatici. La fata ha riconosciuto una vocazione. Da questo
momento il destino di Herbert si svolge legato a quello della signora
del cui giardino si prenderà cura per tutta la vita.
Il
racconto si snoda a ritroso. Prende inizio in una malinconica mattina
d'autunno, l'ora e la stagione predilette dal giardiniere ormai
vecchio che dal suo letto accanto alla finestra del cottage contempla
il parco della Grande Villa. In quel giardino ha lavorato per tre
quarti di secolo, guadagnandosi l'appellativo di Vecchia Gramigna. E
in fondo il nomignolo gli si addice, perché “lui era una specie di
pianta resistente”. Da questa contemplazione si dipanano i ricordi
di Pinnegar e compongono la trama del racconto di Arkell. La memoria
del vecchio giardiniere ispira fantasmagorie di colori che sbocciano
da una gran passione per i fiori. Herbert ripercorre il cammino della
vita tra variegate bordure di aiuole e di viali. Nelle serre si
prodiga intorno ai germogli per far nascere golose primizie, come
quelle fragole precoci, “perfette”, che in un mattino d'aprile
profumano il tavolino da tè della signora Charteris, adagiate in
una ciotola, tra la teiera d'argento e le focaccine imburrate. O come
l' ipomea blu, fiorita in una cascata di boccioli sotto gli occhi
incantati della signora che tanto aveva desiderato rivederla da
quando l'aveva ammirata, per la prima volta, nel corso di un viaggio
tra i giardini mediterranei della Costa Azzurra.
Sono
vite parallele quelle della padrona della Villa e del giardiniere
devoto, ma dotato di quella indipendenza testarda caratteristica
degli artisti. Vite distanti e vicine, votate entrambe all'eleganza,
la stessa eleganza che ispira la scrittura leggera e pregnante di
questo narratore poco noto. L'eleganza è scelta esistenziale di
discrezione e bellezza, e culmina in una solitudine piena di vita.
Quella vita che si trasfonde nella cura di un giardino ammirato da
tutta l'Inghilterra.
In
queste solitudini affiora l'energia di un amore tacito, comune e
reciproco, alimentato dalla comprensione e dal rispetto. Quando,
scoppiata la prima guerra mondiale, anche sul giardino e sulla Villa
si abbatte la violenza, Pinnegar assiste impotente e addolorato
all'opera di una banda di giovanotti incoscienti e rozzi. Venuti per
il recupero di materiali ferrosi necessari alla fabbricazione di
armi, svellono e portano via dal grande terrazzo della Villa i
“cancelli dal delicato traforo italiano”. Sotto gli occhi
addolorati di Herbert “ dentro il camion, fra le pentole e i tegami
arrugginiti, finì l'opera d'arte bella e superflua” di un
artigiano mediterraneo”.
Le
vite dedicate alla cura del giardino non sanno capire la guerra e la violenza.
Le azioni di queste vite hanno la delicatezza di quei fiori
che esse fanno spuntare e risplendere. La stessa signora Charteris,
ormai anziana e fragile, mentre infuria il secondo conflitto
mondiale, nei colloqui con Pinnegar sostiene che “se passassimo il
tempo libero a curare dei fiori invece che a dire delle grandi
sciocchezze, al mondo si starebbe molto meglio”.
Anche
la conclusione rimanda alle vite parallele. Non si torna nel cottage
da dove Herbert ha ripercorso la sua vita contemplando il parco. La
storia si interrompe nel ricordo e termina con la visita del giardiniere alla sua fata,
ormai relegata in un albergo sulla costa inglese. Ancora in forze Vecchia Gramigna, accompagnato dai nuovi padroni della Villa, porta in
dono alla signora un cestino di fragole precoci. Lei non lo
riconosce, tuttavia, alla vista delle primizie, si ricorda di
quell'altro ormai lontano mattino d'aprile, quando nella sala del tè della villa aveva
ricevuto per la prima volta quel dono germogliato dall'arte e
dall'amore. E allora la signora Charteris traccia il ritratto
compiuto del suo artista giardiniere a quello sconosciuto che l'
ascolta con commossa meraviglia.
Del resto è proprio la meraviglia
delle anime sensibili e ignare di ogni azione volgare il significato
più intenso di questo libro fiorito.
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