sabato 13 settembre 2014

“Non vi è vita privata che non sia stata determinata da una più ampia vita pubblica”

"Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?"

Questi versi struggenti, lenti e maestosi, che ci fanno quasi voltare in cerca di un'immagine, persa come un sogno ma sempre desiderata, si possono porre come epigrafe commossa ad un romanzo straordinariamente bello che ho appena finito di leggere: Gli Innamorati di Sylvia di Elizabeth Gaskell, edito dalla Jo March.
Nel titolo il nome della protagonista è un segnale della sua indole aperta alla natura, sospesa tra terra e mare, come la costa britannica settentrionale dello Yorkshire, nei pressi della cittadina di Whitby rinominata Monkshaven dalla scrittrice, probabilmente suggestionata dalla presenza di un'antica Abbazia, la medesima che ispirò Stoker quando scrisse Dracula.

Sylvia è la reginetta di Haytersbank, la fattoria abbarbicata tra le rocce e la brughiera di Monkshaven, battuta dal vento, profumata di latte appena munto, di rosa canina e di erbe aromatiche olezzanti nell'aria salmastra. Haytersbank è quasi un rifugio di confine tra la terra e il mare, quel mare che ora mormora, ora ruggisce nella gola sottostante, ansioso di segnare il destino degli uomini di quella regione.

Nonostante il titolo, Gli innamorati di Sylvia non è un racconto sentimentale, ma un romanzo storico, la cui ispirazione Elizabeth Gaskell maturò in seguito a un soggiorno a Whitby, dove oggi si può essere ospiti in un cottage albergo che porta il nome di Monkshaven.
Del resto, prima di stendere l'intreccio che andava immaginando, la scrittrice studiò sia le fonti storiografiche sulla guerra anglo francese che avvenne nell'ultimo decennio del Settecento, quando era in ascesa il generale Napoleone Bonaparte, denominato Boney dagli Inglesi, sia i documenti sulla caccia alle balene, molti dei quali sono gli stessi a cui attinse Melville per Moby Dick. La pubblicazione della Jo March è corredata da una bella e documentata introduzione, alla quale rimando per tutti i dettagli sulla genesi e le fasi di scrittura di quest'opera.

A me interessa la metamorfosi dolorosa di Sylvia, emblema della femminilità e dell'umanità, sulla cui storia privata incide tragicamente la Storia pubblica. Per questo mi è sembrata pregnante la sentenza di un'altra narratrice inglese dell'Età Vittoriana, Mary Anne Evans, nota ai lettori con lo pseudonimo di George Eliot. - “Non vi è vita privata che non sia stata determinata da una più ampia vita pubblica” - recita questa sentenza, riportata nell'introduzione di Francesco Marroni a Gli Innamorati di Silvia.
Del resto, il nostro Alessandro Manzoni, quando pensava al “vero per soggetto”, si riferiva proprio a questo intreccio ineludibile tra Storia e storie e, nonostante la volontà di confidare nella Provvidenza, non poté fare a meno di rappresentare la sua tragica visione del destino degli uomini, vinti dagli eventi della Storia, e salvati, ma solo in un improbabile altrove, dal dolore elargito loro dalla Provvida Sventura.
Tuttavia, ancor più tragica mi sembra quell'idea che vorrebbe la vita umana già inscritta nel genoma, in quei fattori ereditari che condizionerebbero deterministicamente ogni storia di vita.
In ogni caso, agli uomini e alle donne inermi è riservato il dolore sulla terra. E mai come oggi questa regola storica si manifesta con crudeltà su tutto il pianeta.

Allo sguardo penetrante di un narratore di storie dolorose tocca la compassione e l'arbitrio di inventare un lieto fine, qualche volta.
Ma lo scioglimento felice delle vicende di Sylvia non accade. La Gaskell ha voluto ispirare ai lettori la compassione, il sentimento più umano, la condivisione del nostro essere canne al vento. E così ho patito con Sylvia, per la sua giovinezza spensierata precocemente trasformata dalla violenza delle bande di coscrizione, quelle truppe mandate dalla Corona britannica ad arruolare forzatamente i giovani del popolo, strappandoli ai figli e alle spose.

Le vite degli umili sono sconvolte dalle ragioni della guerra. La bellezza e l'innocenza di Sylvia non la salvano dal dolore: Daniel Robson, il padre, contadino ed entusiasta narratore delle sue passate imprese come cacciatore di balene, viene impiccato per essersi ribellato alla ingiustizia e alla crudeltà della coscrizione forzata, dopo essere stato giudicato come il responsabile principale della rivolta popolare di Monkshaven contro le truppe del re; il ramponiere Charley Kinraid, l'amante riamato di Sylvia, viene catturato dalle bande mentre si reca a Newcastle per imbarcarsi su una baleniera verso i mari della Groenlandia. E infine, la caccia impietosa delle bande del re costituisce l'occasione della corruzione etica e della rovina di Philip Hepburn, commesso colto e di belle speranze, allorquando egli, dopo aver assistito alla cattura di Kinraid e aver ricevuto da lui un messaggio per Sylvia, asseconda il diffondersi della falsa notizia della sua morte. Per di più Philip non riferisce alla ragazza il messaggio consegnatogli da Charlie nel momento della cattura, il suo giuramento di fedeltà e l'accorata preghiera di confidare nel suo ritorno. Mettendo a tacere i sensi di colpa grazie alle dicerie sulla leggerezza sentimentale di Kinraid, Philip approfitta della fragilità di Sylvia impietrita dall'impiccagione del padre, prostrata dal dolore per la follia della madre, e realizza il suo più ardente desiderio sposandola. Ma, né l' assoluta devozione di Philip, né, tanto meno, gli agi acquistati col matrimonio, e neppure la condizione serena donata alla madre dal suo sacrificio acquietano la passione di Sylvia, memore della sorte del padre e della scomparsa del marinaio forte e intrepido a cui s'era promessa.
L'adolescente lieta diventa la giovane donna pensosa e schiva, che degli anni ignari del dolore conserva soltanto l'indole appassionata e implacabile.

Un'altra figura femminile è disegnata nella trama da Elizabeth Gaskell, Esther Rose. Esther è l'opposto di Sylvia. Docile e devota, segretamente innamorata di Philip, mi ha fatto venire in mente Ismene e le sue quiete ragioni di pace in contrasto con quelle implacabili di Antigone.

Ma, al di là di ogni tentativo ermeneutico di questo avvincente intreccio, mi ritrovo, ora, a contemplare Sylvia, sola, con la sua creatura tra le braccia. All'immagine fresca e civettuola della ragazzina che nelle prime pagine del racconto sceglie ostinatamente una stoffa rossa per la sua mantella si sovrappone l'icona ammantata di nero, pallida e triste, dell'ultima pagina. 
Spentasi nel fiore degli anni, Sylvia non vedrà adulta sua figlia. Come suo padre, come sua madre, come lo stesso Philip, Sylvia è una vinta della Storia, mentre Charlie, bello e forte e fortunato, fa parte della schiera di coloro che sanno adattarsi a vivere anche nei tempi più tenebrosi e che, spregiudicatamente, riescono sempre a vincere su questa terra.





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