"Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?"
Questi versi struggenti, lenti e maestosi, che ci fanno quasi voltare in cerca di un'immagine, persa come un sogno ma sempre desiderata, si possono porre come epigrafe
commossa ad un romanzo straordinariamente bello che ho appena finito
di leggere: Gli Innamorati di Sylvia di Elizabeth Gaskell, edito
dalla Jo March.
Nel titolo il nome della protagonista è
un segnale della sua indole aperta alla natura, sospesa tra terra e
mare, come la costa britannica settentrionale dello Yorkshire, nei
pressi della cittadina di Whitby rinominata Monkshaven dalla
scrittrice, probabilmente suggestionata dalla presenza di un'antica
Abbazia, la medesima che ispirò Stoker quando scrisse Dracula.
Sylvia è la reginetta di Haytersbank,
la fattoria abbarbicata tra le rocce e la brughiera di Monkshaven,
battuta dal vento, profumata di latte appena munto, di rosa canina e
di erbe aromatiche olezzanti nell'aria salmastra. Haytersbank è
quasi un rifugio di confine tra la terra e il mare, quel mare che ora
mormora, ora ruggisce nella gola sottostante, ansioso di segnare il
destino degli uomini di quella regione.
Nonostante il titolo, Gli innamorati di
Sylvia non è un racconto sentimentale, ma un romanzo storico, la cui
ispirazione Elizabeth Gaskell maturò in seguito a un soggiorno a
Whitby, dove oggi si può essere ospiti in un cottage albergo che
porta il nome di Monkshaven.
Del resto, prima di stendere
l'intreccio che andava immaginando, la scrittrice studiò sia le
fonti storiografiche sulla guerra anglo francese che avvenne
nell'ultimo decennio del Settecento, quando era in ascesa il generale
Napoleone Bonaparte, denominato Boney dagli Inglesi, sia i documenti
sulla caccia alle balene, molti dei quali sono gli stessi a cui
attinse Melville per Moby Dick. La pubblicazione della Jo March è
corredata da una bella e documentata introduzione, alla quale rimando
per tutti i dettagli sulla genesi e le fasi di scrittura di
quest'opera.
A me interessa la metamorfosi dolorosa
di Sylvia, emblema della femminilità e dell'umanità, sulla cui
storia privata incide tragicamente la Storia pubblica. Per questo mi
è sembrata pregnante la sentenza di un'altra narratrice inglese
dell'Età Vittoriana, Mary Anne Evans, nota ai lettori con lo pseudonimo di
George Eliot. - “Non vi è vita privata che non sia stata
determinata da una più ampia vita pubblica” - recita questa
sentenza, riportata nell'introduzione di Francesco Marroni a Gli
Innamorati di Silvia.
Del resto, il
nostro Alessandro Manzoni, quando pensava al “vero per soggetto”,
si riferiva proprio a questo intreccio ineludibile tra Storia e
storie e, nonostante la volontà di confidare nella Provvidenza, non
poté fare a meno di rappresentare la sua tragica visione del destino
degli uomini, vinti dagli eventi della Storia, e salvati, ma solo in
un improbabile altrove, dal dolore elargito loro dalla Provvida
Sventura.
Tuttavia, ancor
più tragica mi sembra quell'idea che vorrebbe la vita umana già
inscritta nel genoma, in quei fattori ereditari che condizionerebbero
deterministicamente ogni storia di vita.
In ogni caso,
agli uomini e alle donne inermi è riservato il dolore sulla terra. E
mai come oggi questa regola storica si manifesta con crudeltà su
tutto il pianeta.
Allo sguardo
penetrante di un narratore di storie dolorose tocca la compassione e
l'arbitrio di inventare un lieto fine, qualche volta.
Ma lo
scioglimento felice delle vicende di Sylvia non accade. La Gaskell ha
voluto ispirare ai lettori la compassione, il sentimento più umano,
la condivisione del nostro essere canne al vento. E così ho patito
con Sylvia, per la sua giovinezza spensierata precocemente trasformata dalla
violenza delle bande di coscrizione, quelle truppe mandate dalla
Corona britannica ad arruolare forzatamente i giovani del popolo,
strappandoli ai figli e alle spose.
Le vite degli
umili sono sconvolte dalle ragioni della guerra. La bellezza e
l'innocenza di Sylvia non la salvano dal dolore: Daniel Robson, il
padre, contadino ed entusiasta narratore delle sue passate
imprese come cacciatore di balene, viene impiccato per essersi
ribellato alla ingiustizia e alla crudeltà della coscrizione
forzata, dopo essere stato giudicato come il responsabile principale della rivolta popolare di
Monkshaven contro le truppe del re; il ramponiere Charley Kinraid,
l'amante riamato di Sylvia, viene catturato dalle bande mentre si
reca a Newcastle per imbarcarsi su una baleniera verso i mari della
Groenlandia. E infine, la caccia impietosa delle bande del re
costituisce l'occasione della corruzione etica e della rovina di
Philip Hepburn, commesso colto e di belle speranze, allorquando egli, dopo
aver assistito alla cattura di Kinraid e aver ricevuto da lui un
messaggio per Sylvia, asseconda il diffondersi della falsa notizia
della sua morte. Per di più Philip non riferisce alla ragazza il
messaggio consegnatogli da Charlie nel momento della cattura, il suo giuramento di fedeltà e
l'accorata preghiera di confidare nel suo ritorno. Mettendo a tacere
i sensi di colpa grazie alle dicerie sulla leggerezza sentimentale di
Kinraid, Philip approfitta della fragilità di Sylvia impietrita
dall'impiccagione del padre, prostrata dal dolore per la follia
della madre, e realizza il suo più ardente desiderio sposandola. Ma, né l' assoluta devozione di Philip, né, tanto meno, gli agi acquistati
col matrimonio, e neppure la condizione serena donata alla madre dal suo sacrificio acquietano la passione di Sylvia, memore della sorte del padre e
della scomparsa del marinaio forte e intrepido a cui s'era promessa.
L'adolescente
lieta diventa la giovane donna pensosa e schiva, che degli anni ignari
del dolore conserva soltanto l'indole appassionata e implacabile.
Un'altra figura
femminile è disegnata nella trama da Elizabeth Gaskell, Esther Rose. Esther è l'opposto di Sylvia. Docile e devota, segretamente
innamorata di Philip, mi ha fatto venire in mente Ismene e le sue
quiete ragioni di pace in contrasto con quelle implacabili di Antigone.
Ma, al di là di
ogni tentativo ermeneutico di questo avvincente intreccio, mi
ritrovo, ora, a contemplare Sylvia, sola, con la sua creatura tra le
braccia. All'immagine fresca e civettuola della ragazzina che nelle
prime pagine del racconto sceglie ostinatamente una stoffa rossa per
la sua mantella si sovrappone l'icona ammantata di nero, pallida e
triste, dell'ultima pagina.
Spentasi nel fiore degli anni, Sylvia non
vedrà adulta sua figlia. Come suo padre, come sua madre, come lo
stesso Philip, Sylvia è una vinta della Storia, mentre Charlie,
bello e forte e fortunato, fa parte della schiera di coloro che sanno adattarsi
a vivere anche nei tempi più tenebrosi e che, spregiudicatamente,
riescono sempre a vincere su questa terra.
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