giovedì 3 marzo 2011

La voce umana: sprofondamento ed elevazione


Gli armonici della voce umana sono il suono del silenzio, la comunicazione autentica.

… Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare. (G. Leopardi, La quiete dopo la tempesta).

Leggete questi versi e fermatevi sulle vocali, badando alle arsi, ovvero alle posizioni forti sulle quali cade l'accento ritmico.

… èo i eéo
óe à a oèe aa oàa;
óai a aàa,
e iào ea àe i iúe aàe

È rilevante la prevalenza delle vocali aperte dal tono grave. Risuona la “a” sedici volte, undici la “e”.

Poche sono le vocali chiuse dal suono cupo: sette volte la "o", solo due volte in arsi, in “rómpe” e in “sgómbrasi”, dove però hanno l'effetto di un colpo su un tamburo, quasi ad annunciare un evento straordinario.

Una sola volta la “u” , e per di più nello scivolare del dittongo di fiú-me che incede nello “slargo” lento, aperto e maestoso - “aàe” - di “appare”.

Cinque volte la vocale “i”, e di queste volte per ben due forma un dittongo: -ià (chiaro), -iú (fiume). In questi dittonghi risuonano in arsi la “a” e la “u”.

È facile ora ascoltare in questi versi un “largo” festoso, un “canto dell'essere” che annulla il confine tra l'interiorità dell'io e il mondo esterno, tra il desiderio vitale e l'esplodere della vita nell'universo.

La parola poetica è un suono che squarcia i folti nembi e ne trae la luce.

Eppure intuisco che il suono vocale degli esseri umani è sempre un “canto dell'essere”.

È per questo che ho letto appassionatamente Il canto dell'essere” di Serge Wilfart, edizioni Servitium.
“Nato in un paesino belga”, Serge Wilfart trascorse l'infanzia nella paterna fabbrica di molle, “circondato dalle molle, dall'avvolgersi infinito delle spire”. Alla morte del padre fu colpito dal rivelarsi della “voce wagneriana” di sua madre: “ il giorno del funerale [...] mia madre gettò un grido, uno solo – il lungo urlo di un animale strozzato”. Dopo aver frequentato diverse scuole, Serge approdò al conservatorio per apprendere il canto lirico. Fu attraverso quella esperienza che egli concepì l'idea che la voce autentica degli uomini sia come bloccata e stravolta, inibita da “ un sistema di comunicazione puramente cerebrale”. In seguito a questo convincimento, Serge Wilfart, ha abbandonato l'attività di cantore per dedicarsi a quella di insegnante. Oggi egli è diventato “un professore di voce […] una specie di liutaio che ricostruisca al tempo stesso lo strumento e il musicista”. E in effetti in tutto il suo scritto Wilfart sostiene che, per recuperare la voce autentica, “canto dell'essere”, bisogna percorrere il sentiero che penetra nell'interiorità, fino a raggiungere quella profondità donde emana il suono viscerale dell'essere personale. Perciò “il professore di voce” insiste ripetutamente sulla necessità di recuperare la capacità di sondare i suoni gravi della “a” soprattutto, e della “e”, perché la prevalenza delle emissioni della acuta e alta “i” manifesta l'oppressione delle gabbie imposte da un'educazione essenzialmente cerebrale, che impedisce all'io di comunicare col proprio centro di gravità, e di esprimere la pienezza dell'essere.
Bisogna scendere nelle viscere e da lì risalire per elevarsi eretti tra cielo e terra.
"Sprofondare nella “a” e tendersi nella elevazione della “i”.

Lentamente ho attraversato la trama del testo “Il canto dell'essere”. Dall'immersione nelle parole di questo libro riecheggia la profondità della voce umana. Sempre gli accordi bassi mi hanno fatta vibrare, come un tremito davanti all'abisso. Perciò, da questa immersione è vibrata un'intuizione, un affondo nel suono stesso, un anelito a scendere in quella profondità da cui il suono emerge libero, e si propaga all'infinito.

Nel fondo profondo, con il tonfo grave di un corpo greve che affonda nell'insondabile profondità del mare: “e il naufragar m'è dolce in questo mare” (G. Leopardi. L'Infinito).

E di seguito un altro sprofondamento grave risuona: “Trasumanar significar per verba / non si poria” (Dante, Paradiso, I, vv.70-71).
Ascoltate:
“trasumanar significar per verba” è un affondare in se stessi trascinati dalla sonorità grave delle cinque “a”, delle quali ben due sono in arsi.
Ascoltate ancora:
non si poria” è un risalire con l'acuto cristallino della “ i” in uno iato tesissimo.
Ecco, è questo il suono dell'uomo eretto in comunicazione piena tra terra e cielo.

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