domenica 29 gennaio 2012

Esilio e Nostalgia

Il cigno
A Victor Hugo
I
Penso a voi, Andromaca! – Proprio quel fiumiciattolo
umile e triste specchio dove rifulse un tempo
l’immensa maestà dei vostri dolori di vedova,
che ingrossasti di lacrime, quel falso Simoenta,

ha fecondato a un tratto la fertile memoria
mentre passavo per il nuovo Carrousel.
– La vecchia Parigi non c’è più (l’aspetto
d’una città cambia più in fretta, ahimè! d’un cuore):

solo in spirito vedo quel vasto accampamento
di baracche, coi capitelli sbozzati, colonne,
erbe, massi inverditi dall’acqua di pozzanghere
e alle vetrine il confuso ciarpame variopinto.

Là c’era un serraglio una volta. Là un mattino
nell’ora in cui sotto il cielo freddo e chiaro
il Lavoro si sveglia e sospingono gli spazzini
per l’aria silenziosa un torbido uragano,

vidi un cigno fuggito dalla sua gabbia:
con i piedi palmati sfregando il secco selciato
sul terreno ruvido trascinava il bianco piumaggio.
Presso un rigagnolo asciutto col becco spalancato

Tuffava nervosamente le ali nella polvere,
e diceva, il cuore colmo del bel lago natale:
“ Acqua, quando cadrai? Quando tuonerai, folgore?”
Rivedo quell’infelice, mito strano e fatale,

a volte verso il cielo, come l’uomo d’Ovidio,
verso il cielo ironico e crudelmente azzurro,
protendere l’avida testa sul collo convulso,
come se rivolgesse il suo rimprovero a Dio!

II

Parigi cambia! ma niente nella mia malinconia
s’ è mosso! Palazzi nuovi, impalcature, blocchi,
vecchi quartieri, tutto per me diventa allegoria
e pesano più di macigni i miei cari ricordi.

Così davanti a questo Louvre un’immagine m’opprime:
penso al mio grande cigno, con i suoi gesti insensati,
come gli esiliati ridicolo e sublime,
corroso da un desiderio che non ha tregua! E a voi,

Andromaca, dalle braccia del vostro grande sposo
caduta in mano al superbo Pirro, povero agnello,
curva ed estatica presso un sepolcro vuoto;
vedova di Ettore, ahimè! E moglie di Eléno.

Penso alla negra, denutrita e tisica,
che scalpiccia nel fango e cerca, l’occhio smarrito,
gli alberi assenti di cocco della superba Africa
dietro la muraglia infinita della nebbia;

a chiunque ha perduto quello che mai, mai
più si ritrova! A quanti si abbeverano di pianto
e succhiano il Dolore come una buona lupa!
Ai magri orfani, appassiti come fiori!

Così nella foresta dove il mio spirito s’ esilia
Un vecchio Ricordo suona il corno a pieni polmoni!
Penso ai marinai dimenticati in un’isola,
ai priogionieri, ai vinti!…a quanti altri ancora!
(C. Baudelaire, Il cigno, in I fiori del male, trad. di Luciana Frezza, Rizzoli, Milano 1980)

La lettura non va in esilio

“La lettura non va in esilio” è una frase breve ed intrigante . È suggestivo l’accostamento di “esilio” a “lettura”. In una stanza silenziosa, un uomo legge in un esilio beato, mentre fuori si svolgono i drammi del mondo. Penso a voi, Andromaca! Ed ecco che all’improvviso, uno di quei drammi dalla pagina del libro entra nella stanza a “fecondare” la memoria del lettore. E la memoria parla al cuore e gli instilla un sentimento: la nostalgia. Allora “ La lettura non va in esilio” potrebbe essere l’eroica risposta ad un ordine di mettere al bando la lettura, o un moto di ribellione ad una realtà di fatto. In ogni caso, la frase si traduce in immagini di sofferenza e trasmette nostalgia.
Nostalgia è una parola intensa. Allude al nóstos, il “ritorno” in patria degli antichi eroi epici, ma è stata coniata da pochi secoli fondendo nóstos con álgos, il “dolore”, per esprimere il desiderio ardente di ritornare ad un luogo amato, e, più in generale, a quella primigenia condizione felice della quale è impressa indelebilmente nell’ anima una traccia che segna il percorso di ogni utopia e che i miti letterari rappresentano variamente nelle “favole” che dipingono una beata età eternamente rimpianta. Sicché il procedere implica un ritornare. E di questa nostalgia non possiamo fare a meno. La ricorrente evocazione fantastica di un’era felice dimostra che gli uomini non smetteranno mai di aspirare al migliore dei mondi possibili in virtù di azioni che siano dettate da ciò che è buono e da ciò che è bello. Che straordinaro intreccio di significati in quattro parole! Lettura, esilio, nostalgia, utopia. E tutt’e quattro riguardano la Scuola dov’è diffuso il desiderio di ritornare alla traccia ideale di una Scuola possibile, migliore di quella di ieri e di questa di oggi.

Nella Scuola di oggi, il lessico dell’economia prevale su quello della formazione, al punto che la parola “spendibilità” può essere riferita sia agli obiettivi didattici che al budget economico, secondo la logica mercantile dell’utile quantificabile che non tiene in gran conto gli esseri umani come soggetti di azioni buone e belle, le uniche in grado di produrre l’utile per il vivere civile.

Da insegnante esiliata nella scuola del POF, ho colto nel progetto della Fondazione Centro Astalli l’invito alla lettura per tornare alla traccia ideale, che oggi può essere quella che mostra il sentiero dell’intercultura come percorso verso una nuova età dell’oro. Un libro, infatti, ne contiene tanti altri, è una sinfonia di pensieri prodotta dall’eco di mille voci diverse, è un dipinto i cui colori risultano dalla mescolanza, inconsapevole ed insieme sapiente, di infinite tonalità. Il libro è, allora, una finestra aperta sul nostro mondo sempre più polifonico e multicolore. Educarci ed educare all’intercultura ci permetterà di comporre l’armonia, e di impedire che gli interessi economici ed imperialistici, in nome dei quali si possono sfruttare gli sventurati, prevalgano sui valori della conoscenza, dell’incontro e della cooperazione…

La Scuola è lo spazio in cui questi valori possono essere vissuti, proprio attraverso la lettura delle opere letterarie. La letteratura, infatti, è uno dei luoghi in cui è possibile conoscere e riflettere sulle eperienze umane, liete o tristi, fortunate o tragiche come quella dell’esilio. I più antichi poemi di tutte le civiltà narrano di un errante che anela al ritorno. Gran parte della lirica intona il lamento dell’esule. L’esilio è la condizione naturale del poeta che è “re dell’azzurro” , esule sulla terra. Nella Poesia, quindi, ogni esule può sfogare il suo pianto. Per questo, nell’anno scolastico in corso, insieme agli altri testi da proporre ai miei alunni, ho scelto anche la lirica di Baudelaire, sopra riportata, accostandola al passo virgiliano che ha ispirato il poeta dei Fiori del male.

Dai fiori di Baudelaire possono sbocciare altri fiori. Lo spaesamento del poeta davanti alla Parigi che cambia è il nostro smarrimento in questo mondo il cui aspetto “cambia più in fretta, ahimè! d’un cuore” . E Andromaca “ingrossa ancora di lacrime un falso Simoenta” perché ancora Pirro imperversa furente…

Da adolescente, Baudelaire forse incontrò gli esuli per la prima volta proprio leggendo le storie degli antichi eroi . Nutrì di queste favole antiche la sua umanità e le tradusse nel suo canto del cigno. Da questa lirica si effondono la solidarietà con gli esuli, il dolore di chi è strappato dalla propria “superba” terra, il rispetto per civiltà diverse ma non meno splendide. E questo canto io l’ho trasmesso agli adolescenti affinché anche la loro memoria sia fecondata dalla lettura, non per rimpiangere il passato, ma per andare incontro al mondo futuro senza pregiudizi.

No, la lettura non va in esilio! Ancora i miei pensieri germogliano dalla traccia lasciata da un libro. Mi ricordo dell’Antigone di Maria Zambrano, di quando l’eroina, ripensando al suo errare insieme al padre cieco, supplica gli ospiti di accogliere gli esuli non tanto per colmarli di doni, quanto per lasciare che siano loro a dare qualcosa. E proprio con queste parole mi piace concludere “… noi chiedevamo che ci lasciassero dare. Perché portavamo qualcosa che né lì né altrove, dove che fosse, nessuno aveva; qualcosa che solamente ha chi è stato strappato alla radice, l’errante, colui che un giorno si ritrova senza nulla sotto il cielo e senza terra; colui che ha provato il peso del cielo senza terra che lo sostenga” .
(Queste riflessioni sono state scritte nella primavera del 2006 in seguito alla collaborazione con l'associazione Centro Astalli che si occupa dell'accoglienza dei rifugiati politici.)
http://www.centroastalli.it/

1 commento:

raffaele ha detto...

Cara Pina, innanzitutto complimenti per la tua bellissima pagina che ho letto molto attentamente e condivido in larga parte. E’ vero, il procedere implica sempre un ritornare, ma il racconto vive nel presente e ciò implica anche un permanere, altrimenti il processo triadico determinato da Proclo ma già individuato da Proclinio che governa la generazione di tutte le cose risulterebbe irrimediabilmente mutilato. Riguardo al lessico della nostra cultura scolastica devo dirti che probabilmente è l’impressione che si ricava vivendo nella nostra realtà. Le recenti indicazioni nazionali e il PECUP ci chiedono di formare studenti competenti nella lettura, capaci di argomentare, in grado di analizzare e risolvere problemi ‘in situazione’. Esattamente l’idea di scuola che ho avvertito emergere dalla tua pagina. Sull’interculturalità, ad esempio, le scuole dal 2009 hanno delle precise linee guida che dovrebbero rispettare e che sono tese a favorire la crescita di quei valori a cui facevi riferimento. Purtroppo dalle nostre parti regna un POF frutto di distrazione e disinteresse che non ha minimamente colto il cambiamento.
Raffaele Guadagni