lunedì 18 marzo 2013

Breve storia di “umiltà”


A mano a mano che si avanza nell'età, cominciano a disfarsi le trame della storia. Seguendo i fili si arriva a intrecci rarefatti. Ci si impiglia in qualche nodo e ci si ferma. Ma benedetti siano i nodi che nelle trame di un racconto trattengono i significati cruciali e si sciolgono in infinite altre storie! Oggi, mentre tagliavo la cipolla da soffriggere per la minestra di piselli, suggestionata, forse, dalle storie recenti, cercavo di ricostruire il racconto della “historia” di Francesco d'Assisi delineata da Massimo Cacciari in un libriccino che si intitola “ Doppio ritratto”. Dipanando a fatica il filo della memoria, mi sono impigliata nell'“umiltà”. Procedevo a capo chino, gli occhi rivolti a terra. Benedetta la lingua e la parola! Immediatamente corre il pensiero alle cose nascoste nelle parole. 
Il sostantivo “umiltà” deriva dal latino “humilitas” e, naturalmente, L'aggettivo “umile” dal corrispondente “humilis”. L'etimo di entrambi i termini è “humus” ovvero “terra”. Alcuni studiosi ritengono che anche “uomo”, “homo” in latino, provenga da “humus”, essendo appunto una creatura “terrestre”, che alla “terra” ritorna. L'umiltà è la qualità di sentire l'appartenenza alla terra. I nodi in cui mi impiglio si snodano nella mente, il filo si dipana e mi conduce da 'Omar Khayyâm, poeta e scienziato persiano dell'undicesimo secolo, autore di essenziali “Quartine”. Ho cercato il libro (Omar Khayyâm, Quartine, BUR) tra gli scaffali della mia libreria. L'ho trovato. Ho letto.

Ieri ho visto un vasaio al mercato:
Su un pezzo d'argilla infieriva con grandi calci.
E gli diceva, quell'argilla, in un suo muto linguaggio:
"Io come te fui un tempo, abbimi cara!".


L'umiltà è, quindi, la consistenza stessa dell'uomo, ma, non so perché, lo ignoriamo. I nodi si sciolgono. Ora corre la fertile immaginazione, ma non vola in aeree fantasie, ancora si immerge nell' “humus” e ne sente la linfa , “umore” vitale. Mi sorprendo della vicinanza fonica di “umore” ad “humus”. Di “umore”, derivato da un termine latino dalla duplice grafia, “umor” e “humor”, i lessici mi dicono che l'etimologia è incerta. Sicuramente però il sostantivo ha a che fare con "ūměo" o "hūměo", il verbo che significa "essere umido, essere bagnato". Resto pensierosa sulla vicinanza di forma e di suono tra le parole e azzardo l'ipotesi che Anche "humor" sia da ricollegare ad "humus". Ripenso con emozione alle teorie sulla nascita della lingua del poeta Lucrezio, che sostiene che le parole siano nate per combinazioni sonore aderenti alla vicinanza tra le cose. Degli esempi da lui addotti ricordo “Ignis” "fuoco" e "lignum" "legno" ( ancor più vicini gli aggettivi derivati (“igneus” “di fuoco “e “ligneus” “di legno). Il legno alimenta il fuoco, infatti. 
Ecco, mentre la cipolla sfrigola nel tegame, il nodo in cui mi ero impigliata si è sciolto nella storia di “umiltà”. L'uomo vero è quello consapevole di esser umile, ovvero figlio della terra, nel cui grembo scorre l'umore della vita.  

sabato 16 marzo 2013

“Perché questa volta non si tratta solo di cambiare un presidente”



Che settimana tempestosa sta per chiudersi! Pioggia e grandine son venute giù senza tregua finché, alle Idi di Marzo, dal cielo si è scatenata una vera e propria tormenta di vento e di neve sull'Italia. Vento e neve rigeneratori! Infradiciati ed infangati, con gli occhi all'insù si attendeva un raggio di sole. Sotto grandine e pioggia, a metà settimana, l'annuncio dell'elezione del nuovo Papa, che si è scelto il nome del “poverello” della “perfetta letizia”, è stato salutato come il segno di un cielo sconfinato e imprevedibile. Che bello affidarsi all'imprevisto proprio quando tutto viene anticipato col calcolo dei pronostici! Si consideri quanto siamo appestati e incarcerati dalle previsioni di ogni tipo! Perciò, quando la Storia, come il cielo, sorprende e si fa beffe degli aruspici, nasce dal cuore un canto di esultanza, un canto che risveglia le speranze tramortite. La creatura umana ha bisogno di speranza quanto di pane. La speranza è buona come il pane. È una fragranza che invade tutto l'essere. E da dove sorge la speranza? Dalla semplicità della parola autentica. La parola autentica non si può spiegare. È talmente semplice che la si assapora come si fa col pane. E si sente subito che sa di buono e che, come il pane, sfama più di ogni prelibatezza. Questa parola è in comunicazione con la vita e, perciò, è parola di vita. Ma non è parola straordinaria. È ordinaria, come la vita semplice. Gli orpelli fatui soffocano la vita e la parola. La parola è di carne e di sangue, sente ed esprime la vita. Si perde l'uso di questa parola quando si smarrisce la coscienza della fragilità. È la coscienza del limite il carattere distintivo degli uomini. Da questa coscienza nascono le opere più belle, e il senso della semplicità della vita riversata nella parola autentica.
Perciò, oggi, ascoltando il discorso di Laura Boldrini, neoeletta Presidente della Camera dei Deputati, come tanti ho colto la semplicità e la verità sulle quali si può rifondare la speranza e l'azione di tutto il popolo italiano. Chi ha vissuto l'esperienza dei miseri, dei profughi, di qualsiasi uomo segnato dalla sventura, sente e dice che la politica è la casa comune nella quale ogni cittadino gode dei diritti umani inalienabili, a partire da quello di cittadinanza. Per comprendere queste verità così semplici ci si deve sentire come i miseri e gli ultimi, senza temere di perdere posizioni e privilegi. La paura del movimento genera odio e guerra. E il nostro mondo, oggi, si muove e cambia in fretta. Proprio come il cielo. Non c'è nulla di eterno e di immutabile sotto il sole, è vero. E tuttavia, che ogni creatura dell'universo è soggetta a caduta, sofferenza, morte, è una verità assoluta. Ebbene, se si è vissuto l'attimo della tragedia che sovrasta, se si è patito lo sgomento dell'impotenza nella sventura, si comprende e si diventa parola autentica. E allora, peregrinando su questa terra, finché si avrà respiro, sarà impossibile diventare egoisti o arroganti se si custodisce la coscienza della fragilità e la parola che ne scaturisce. Certo, non si riuscirà a mantenere costante la fiducia e la speranza, ma, sulle labbra che hanno conosciuto la sventura non fioriranno giammai parole finte o arroganti. Semmai, si ricadrà nel silenzio o nel grido davanti alle ingiustizie perpetrate sui deboli, davanti all'arroganza dei corrotti o alle lucide quanto inutili disamine dei cinici dotti, e dei professori, tecnici senza cuore.
Ma ora è tempo di speranza. Si può intonare il ritornello di una canzone della verde età.

"Perché questa volta non si tratta
solo di cambiare un presidente,
sarà il popolo a costruire
un'Italia ben differente".