domenica 18 maggio 2014

Doni

Quando si apre una vecchia scatola, dove si sono riposti oggetti inutili, ci sorprende la vita.
Un paio di orecchini di conchiglie raccontano un sole giovane, bizzarro giorno dei vent'anni spalancati sul futuro da inventare. Le tenui linee delle volute parlano delle mani gentili che per me li scelsero in dono, pensando al mare. Come l'accendino, elegante linea, un vezzo inutile, che non arde più se non nella forma svettante e levigata di lacca rossa come l'affetto raffinato di una nobile amica.

I bigliettini d'amore delle figlie bambine, arabescati di segni insicuri e di surreali disegni. 

E una rosa, secca ma non appassita, brunita ma tuttora rossa, come il sentimento che la protesse per non lasciarla sfiorire. Una rosa intatta. Racchiuse nel boccio il patire, confortato da un sogno segreto e da commossa speranza. È spuntata dalla scatola imprevedibilmente, dono ancora vivo per l'amore che lo accolse e vi si trasfuse.


Ho riposto gentilmente la rosa tra i bigliettini d'amore filiale, fitti di acerbe, verdi scritture insicure, tracciate da piccole mani tese alla mamma allora distratta. È stata, di certo, la forza innocente dell'inconsapevole amore la custodia della rossa rosa, e della purezza del dono. 


mercoledì 14 maggio 2014

In principio sono gli occhi


-Sono un libro aperto- è un modo di dire di cui abbiamo perso il senso intenso e vero. - Sono un libro aperto - lo diciamo a qualcuno davanti a noi al quale chiediamo di leggerci. A volte siamo “un libro chiuso” e, allora, aspettiamo che un altro ci apra, e raccolga con gli occhi le lettere sparse della nostra storia. Aspettiamo un lettore che ci comprenda e ci racconti. Le lettere sparse, confuse, celate vanno raccolte. È necessario uno sguardo complesso, un amplesso di luce. La luce discreta di occhi che discernono e raccolgono, compongono, e raccontano con dolcezza.
“Amore” è un desio che vien dal core per abbondanza di gran piacimento” intonò l'inventore della forma sonetto Jacopo da Lentini, il notaio poeta della prima Scuola poetica italiana, che, in Sicilia, fu patrocinata dal grande Federico II di Svevia. Il cuore inventa quello che passa per gli occhi. Il cuore inventa nel senso originario latino di invenire, ovvero trovare. Trova ciò che raccoglie con gli occhi il cuore.

Mi sono sorpresa a meditare sulla radice del verbo leggere, leg- del latino legere. Sul momento mi è sembrato strano che la stessa radice nel greco legein significhi dire. E allora mi sono data da fare per cercare l'elemento comune. In entrambe le lingue il primo significato è quello di raccogliere, mettere insieme. La sorpresa del meditare trapassa nello stupore della scoperta: leggere e dire nella stessa etimologia! Raccogliere negli occhi il mondo, leggerlo, e dirlo. È come affermare che quando si legge si dice, e, viceversa, che quando si dice si legge. È una reciprocità meravigliosa, che ci riaccosta a quella lingua materna (di cui spesso dice un mio amico) nella quale si addensano i significati semplici, quelli della vita autentica. Spesso, invece, ci avvolgiamo in elucubrazioni affannate, ignorando la semplicità, la freschezza della lingua materna, la sua ingenua verità così aderente alle cose. Per questo, è importante educare a legere oculis ovvero a raccogliere con gli occhi (Cortellazzo e Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana) i segni sparsi nella materia vivente dentro e fuori di noi.

Raccogliere e comporre con gli occhi può essere un atto d'amore o una dolorosa scoperta. E amore e dolore risuonano nel dire allo stesso modo di quando in un libro, dopo aver raccolto con gli occhi le sparse lettere in parole amorevoli o crudeli, felici o strazianti, mentre le leggiamo le diciamo, ci diciamo. Se il cuore non è pietrificato.