domenica 15 febbraio 2015

Alcesti: il dono e l'ospitalità


Misterioso è l'affiorare di un ricordo, come il formarsi dei sogni. Un turbamento all'origine di entrambi, conscio o inconscio, smuove l'opacità del quotidiano, la fruga, e fuga nebbie stratificate. Meraviglia e dolore scuotono la normalità.
Così è affiorata Alcesti, eroina dimenticata, tenera e coraggiosa in attesa della morte, Tànato, che vanta con Apollo il tocco funesto della sua spada e gode della gloria di rapire una giovane vita.

Qualcuno, forse, si chiederà chi sia Alcesti. Alcesti è la moglie di Admeto, il re di Fere, in Tessaglia. La sua storia fu messa in tragedia da Euripide.
Quando il destino di morte fu decretato per Admeto, Apollo ottenne che qualcuno potesse offrirsi al suo posto. Ma nessuno accettò questo sacrificio, nemmeno i genitori dello sfortunato re. Solo la sposa Alcesti donò la sua vita per la salvezza di Admeto.

La tragedia mette in scena il culmine della sventura abbattutasi sulla casa di Admeto. Dopo il suo ingresso nell'orchestra, il coro commenta il dolore e piange la regina sposa e madre. Ci attraversa il cuore una frase - Quando sui buoni piomba la sciagura, triste divien chi buono è per natura – perché ci fa pensare a come il dolore si espanda dall'individuo alla comunità, quando ancora il sentimento della morte non sia stato rimosso e fugato da un voler ignorare a tutti costi il destino dell'uomo.
Lo stesso Admeto, del resto, accetta il sacrificio della sposa. E giustamente il re Ferete, incolpato dal figlio come responsabile del sacrificio di Alcesti, perché, nonostante la tarda età, ha avuto paura di morire al suo posto, gli rinfaccia che lui stesso ha avuto orrore della morte.
Nel dialogo tra padre e figlio si manifesta il pensiero del buon senso comune, e cioè che la vita è cara più d'ogni altro bene e che nessuno vuole perderla neppure chi è vecchio e cosciente del tempo esiguo che gli rimane. Il logico buon senso fa dire a Ferete - La luce t'è cara. Pensi che al tuo padre cara non sia? Della mia vita, certo, poco mi resta; e il poco è pur dolce: ben lunghi giorni sotterra passerò: ma tu, tu combattesti svergognatamente, per non morire; e vivi; e sei sfuggito al tuo destino, e uccisa hai la tua sposa.-

La sposa Alcesti mentre sente che lo spirito vitale l'abbandona è soprattutto la madre che, smarrita, saluta le sue creature scongiurando gli dei di allontanare da loro un triste destino. La fragile e generosa Alcesti non è per niente plateale, è un'eroina dimessa e casalinga, osa appena appena implorare Admeto di non dare ai suoi figli una matrigna. Lei che muore anzi tempo per amore sa bene che il tempo guarisce le perdite e che Admeto si consolerà prima o poi della vedovanza. 
La storia si svolge nella casa di un re, ma la grandezza di Euripide è in quel suo rappresentare la tragedia della normalità smorzando i toni e sfatando i miti.

Ma cosa c'è di più eroico di un dono così grande offerto nel silenzio domestico? Questa eccezionale dimensione la comprende bene Eracle che viene ospitato da Admeto proprio nel momento in cui si compiono i funerali di Alcesti. L'eroe non sa quale lutto abbia colpito il re di Fère, ma, conosciuta la verità, scende nell'ade e combatte con Tànato fino a che non gli strappa Alcesti e la riconduce alla vita. 
La tragedia termina con l'incredulo Admeto che si vede consegnare dal figlio di Zeus una sconosciuta da ospitare. Quella sconosciuta che tace misteriosa innanzi a lui è la sua sposa. Ad Alcesti, dice Ercole, non è concesso udire le voci di chi l'ama “se pria non venga purificata dagli influssi inferni, e giunga il terzo giorno”
Il dramma si chiude con l'espressione di giubilo di Admeto che esclama la sua felicità, mentre noi ci sorprendiamo a meditare sulla bellezza e la verità del senso di questa storia: il dono della vita e il dono dell'ospitalità sono più forti della morte.