lunedì 4 giugno 2012

Il terremoto fra “termini e parole”


Il sisma recente che ha sconvolto L'Emilia Romagna e il territorio limitrofo ci induce a riflettere sulle decantate “magnifiche sorti e progressive” e sull' “aridità” dei cuori umani allorquando si affidino al de-terminismo pseudoscientifico. Il terremoto di Modena e Reggio Emilia ha smentito la definizione “a basso rischio sismico” riferita al medesimo territorio. Abbiamo poi appreso che la definizione di “territorio a basso rischio sismico” non è stata fondata su indagini geologiche, ma su statistiche geo-storiche calcolate su quella regione. Questa affermazione  dei geologi dichiara, difatti,  la pericolosa fallibilità di un'altra scienza oggi tanto osannata, la statistica, appunto.

Ma non per esternare pensieri negativi si scrive questa nota. Sarebbe, in tal caso, un opporre arroganza ad arroganza. Si vorrebbe piuttosto richiamare alla mente una annotazione di Giacomo Leopardi (Zibaldone 110), con la quale il poeta distingue le “parole”, che sono cariche di immaginazione e, quindi, sconfinate, dai “termini” che, appunto, “determinano e definiscono la cosa da tutte le parti”. Le prime, difatti, sono evocatrici di “arcani mondi”, e appartengono al poeta. Ma Leopardi non nega la “proprietà” delle “parole”, la quale è ben diversa dalla “nudità o secchezza, e se quella (la proprietà) dà efficacia ed evidenza al discorso, questa (la nudità o secchezza) non gli dà altro che aridità.”

E con questo non si vuole negare la validità e la specificità del linguaggio scientifico, ma si desidera riportare al centro la meditazione sull'uomo quale pellegrino della conoscenza nel cammino dei secoli. Tenendo a mente, infatti, che il progresso scientifico si è compiuto grazie alla incessante ripresa, correzione e, talvolta, rivoluzione dei risultati raggiunti, anche i termini scientifici rispetterebbero un margine di indefinibile aperto all'immaginazione di quell'impossibile dal quale la ratio rifugge impaurita.