sabato 29 marzo 2014

Pollicina va in paese


Mi piace che i luoghi mi diventino familiari. Ma non è solo l'andarci abitualmente che li rende tali. Sono i loro abitanti a farmeli amici. Nella libreria dove vado abitualmente sono a casa. Lì, i miei ospiti multicolori, adagiati sugli scaffali, mi accolgono in attesa di essere presi tra le mani, aperti, incontrati, ascoltati. Ma sono tanti tanti, moltissimi di loro ancora sconosciuti, sicché, appena entrata, sotto i loro sguardi indagatori, mi sento sempre un po' frastornata. Allora, d'istinto, mi volto verso il banco della cassa, in cerca dei visi noti dei giovani librai, che mi sono familiari, e che mi salutano amichevolmente, non appena mi vedono. Senz'altro ci accomuna l'interesse per i padroni di casa: i libri. Una ragazza, in particolare, mi accoglie sempre sorridente e, mentre cerca attraverso il computer il libro richiesto, se non c'è nessuno in fila, si intrattiene con me amabilmente. Qualche giorno fa sono entrata in questa libreria, sperando che fosse arrivato il mio ottocentesco Shirley. Sì, lo ammetto, sono una vecchia signora fuori moda. Ma dei miei gusti antiquati Emanuela non si scandalizza, anzi condivide con me tanti vecchi amori. L'altra sera mi ha mostrato il libro che avrebbe letto, “Via dalla Pazza folla” di T. Hardy, prima di comunicarmi che, ahimè, quello ordinato per me non era ancora arrivato.
Dopo averla salutata, non ho resistito al solito giro tra gli scaffali. Ho sbirciato le forme colorate, i nomi e i titoli. Desideravo l'attrazione fatale.

Azzurro, smilzo, agile, un volumetto mi si è offerto. L'ho preso. Non conoscevo l'autore, Michel Serres, se non per averne letto qualche citazione negli scritti di un amico. Il titolo è abilmente accattivante, Non è un mondo per vecchi. Mi sono sentita chiamata in causa direttamente, specialmente dopo aver letto la quarta di copertina: “il sistema scolastico, ma anche gli istituti della politica e della società spettacolo si ostinano a brillare come stelle morte da tempo, ignare della propria fine. Il mondo non sarà un posto per vecchi. L'ultraottantenne Michel Serres, epistemologo tra i più originali, registra sorridente quell'ineluttabile obsolescenza”.
Alla cassa, mentre pagavo, ho ammiccato ad Emanuela. Poi me ne sono andata allegramente. In poche ore il libro è stato letto.

Caro Michel, per restare a galla in questo mondo, si fa davvero di tutto. Fino a fingere l'ottimismo esasperato del buon Pangloss, sciorinando, tuttavia, quell'antica, vituperata, sapienza obsoleta, evidente fin dal titolo originale del tuo libro, Petite Poucette, letteralmente, Pollicina.
Il nomignolo eroico dell'antica fiaba viene così in aiuto dell'erudito storico della scienza, che se ne serve per designare i nativi digitali, dotati della rivoluzionaria competenza dei pollici, veri maghi del Nuovo Sapere. Lo scibile universale infinito, interconnesso, virtualmente innocente, accessibile tutto intero, senza fatica, e, soprattutto, oggettivo, è disponibile, hic et nunc, con un clic del pollice di quei “corpi decapitati” intenti al computer. Quando le Pollicine o i Pollicini accendono il computer hanno, infatti, le loro teste “ben piene”, recise, “tra le mani”, come San Dionigi, il vescovo dei primi cristiani di Parigi, il quale, dopo la decollazione, stando al racconto di Jacopo da Varagine, si rialzò e, presa la testa in mano, salì sul colle di Montmartre.

La divisione degli uomini in pessimisti e ottimisti è antica, ma non affidabile, come ogni drastica opposizione, del resto. I grandi sapienti e i poeti non sono mai riusciti a schierarsi ciecamente. Quante volte è stato detto da molti che l'avvento dell'età dell'oro era alle porte e che il passato coi suoi errori e dolori era morto per sempre! Tutte queste volte è accaduto qualcosa che ha fatto ricredere l'umanità. Tuttavia si sono dovuti ricredere anche coloro che si erano eretti a strenui difensori del passato, inteso come una conquista cristallizzabile. Il nodo è tutto qui: nel rischio che la fede cieca nel nuovo che avanza cristallizzi la realtà e la semplifichi come fanno coloro che, al contrario, arroccati nella fortezza del passato, difendono le certezze acquisite, le quali, per lo più, coincidono coi loro interessi. Questo rischio è sotto gli occhi di tutti gli uomini dalla mente libera e sgombra da ingannevoli certezze nel corso della attuale crisi mondiale, che non è soltanto economica.
Stando al racconto di Serres, l'avvento del sapere digitale porterà al crollo del sapere come potere centrale, statale e statico, fondato sulla forza delle competenze schiaccianti di pochi esperti sui molti inesperti e incompetenti.
Questa gerarchia, secondo il pensiero dell'accademico francese, è antica quanto la storia dell'umanità. A dimostrazione visiva della sua tesi, egli ci propone due costruzioni lontane tra loro nel tempo ma identiche nell'ergersi a emblemi della verticalità del potere, dell'oppressione di un vertice su una base, la cui ampiezza è la garanzia della stabilità del potere. Questi due edifici, costati entrambi lacrime e sangue, sono la piramide di Cheope e la Torre Eiffel.
Ebbene, l'epistemologo francese, concludendo la sua disamina, preconizza la fine del potere granitico e centralizzato e descrive il suo progetto virtuale. Pianterà proprio davanti alla Torre Eiffel un albero che catturerà, attraverso una "luce laser", le identità individuali codificate in un computer. Quest'albero luminescente, multicolore e mutevole oscurerà il rigido emblema di Parigi. Sicché, “di fronte alla Torre immobile, ferrosa, che porta orgogliosamente il nome dell'autore […] danzerà nuova, variabile, mobile, fluttuante, variopinta, tigrata, cangiante, intarsiata, musiva, musicale, caleidoscopica, una torre volubile fatta di scintille di luce clorata, che rappresenta il collettivo connesso [...]”.1

Credo che, talvolta, i vecchi pur di tenere la scena, blandiscano i giovani, spudoratamente, rinnegando se stessi. Anche io ripeto spesso che mi piacerebbe essere giovane per vedere tutte le cose belle che accadranno, ma non per questo annullo quelle della storia, personale e collettiva, che mi hanno fatta diventare quella che sono. Soprattutto non rinnego la materia e la carne. Credo che il mondo come sempre si trasformerà e verranno tempi migliori, fino alla fine del tempo. Anche questi pensieri confluiranno nei rivoli della rete e si fonderanno nell'oceano di parole, di suoni, di immagini. Ma, sono convinta che non si potrà fare a meno della comunicazione tra corpi in carne ed ossa. Piacerebbe anche a me trasformare lo spazio delle aule, allestirlo diversamente. Mi piacerebbe in primavera far lezione seduta in cerchio coi ragazzi, all'ombra di alberi, non virtuali. Ma non mi pare che la voce degli insegnanti sia necessariamente repressiva e autocratica. Tuttavia, neanche questo conterebbe. Conta invece la testimonianza di un sapere che costituisce la persona viva. È un sapere esiguo, limitato, ma portatore di umanità. Non mi piace l'immagine di colli mozzi, né di schiene perennemente inarcate al volante del computer. Solo un vecchio erudito e atterrito all'idea di scomparire può scrivere con tanta prolissa superficialità.

Quando penso al futuro, quello prossimo, perché ormai gli anni da venire per me sono una manciata esigua, immagino che siano ripopolati i paesi antichi sparsi sui colli, e nelle valli del nostro Bel Paese. Sogno la rinascita dell'agricoltura, dell'artigianato di ogni tipo e delle arti belle, auspico la rivoluzione di un'economia umana e cooperativa. Vedo una fucina di idee e progetti diventare ricostruzione, abbellimento di ogni angolo del pianeta.

 L'uomo è un viandante, è vero, ma ha la necessità di sostare, di intravedere l'oasi, il ristoro. Un viaggio senza fermate è un precipitare confuso, frenetico, misero. É bello l'andare, ma anche il tornare, e il ripartire. Si sa che in tanti antichi borghi sono rimasti solo i vecchi, custodi inamovibili di storie scritte sui muri cadenti. In questi luoghi mi piacerebbe che andasse Pollicina col suo sapere rivoluzionario. Quel sapere le cui virtù più splendide sono la vittoria sull'isolamento e la possibilità infinita di scambiarsi idee e progetti, in una rielaborazione perennemente feconda. Ecco la mia Pollicina, umile e saggia, in andirivieni tra siti in costruzione sulla terra. Una terra rinnovata dal pensiero etereo.





1Michel Serres, Non è un mondo per vecchi, Bollati Boringhieri

sabato 22 marzo 2014

La luce della neve nel cuore antico di Lucy Snowe

Per leggere Villette di Charlotte Brontë il cuore deve farsi landa candida di neve, il cui gelido bagliore di emozioni trattenute possa comprendere il cuore antico di Lucy Snowe (il nome è un ossimoro rivelatore, evocando ed accostando gli opposti campi semantici di “luce” e di neve”), narratrice interna ed eroina nivea del racconto. Se si è in grado di vivere questo contrasto, seduti in solitaria ombra, si scoprirà il mondo con la medesima perspicacia di Lucy, i cui occhi bevono luce dal cuore, un cuore educato a dominare il dolore precocemente vissuto. Sul cuore vigila, infatti, la mente, come sentinella ostinata delle passioni. Ma, in questo sforzo di compressione dei sentimenti e di volontaria rinuncia alla felicità, nell'illusione che il venir meno del desiderio preservi dalla delusione e, quindi, dall'infelicità, capita, talvolta, che la mente, assediata da una sorta di febbre, ceda. Allora, finalmente, Lucy sprigiona dal cuore sepolto nella neve quell'energia appassionata della sua anima anticonformista.

Nel passato di Lucy sono celati eventi dolorosi, che non vengono narrati, come se il pudore, custode della sacra intimità, trattenesse la voce e la penna.
Pudore e forza d'animo sono, del resto, le due virtù coltivate da Lucy. E queste virtù le permettono di scoprire la sua vocazione per l'insegnamento.
Nell'incipit del romanzo si è costretti a cercare un cantuccio in ombra e ad assumere, come fa Lucy, il ruolo di osservatori. Lucy, infatti, ancora adolescente, osserva il teatro della vita e ne intuisce le trame, che sono già compiute nella sua visionaria immaginazione. Lo sguardo analitico è sorretto dalla calda ispirazione che la natura ha elargito generosamente a Lucy, quasi per ricompensarla di quella mancanza di avvenenza tanto rimpianta in qualche pagina cruciale della narrazione. Ed è il rimpianto per la bellezza negatale dalla sorte a rendere umana e oltremodo femminile Lucy Snowe. In questi momenti, il ghiacciato pensiero, vinto dalle emozioni, si incrina, si scioglie la neve e denuda le passioni del cuore.
Un cuore siffatto mira alla contemplazione della bellezza e alla ricerca della verità. Ed è il cuore di una donna che, per vocazione riconosciuta e narrata, accompagna al compimento del loro destino coloro che si imbattono in lei.

Sicché, la sorte vuole che Lucy lasci l'Inghilterra e che, al di là della Manica, in una cittadina della Labassecour, l'immaginaria Villette, verosimilmente Bruxelles, sia assunta come insegnante di Inglese presso un educandato femminile diretto sapientemente da una donna astuta e calcolatrice, madame Beck.
A convincere madame dell'affidabilità di Lucy è monsieur Paul Emanuel, parente della direttrice e carismatico insegnante nella medesima scuola. Questo “ometto bruno e smilzo, con gli occhiali” è “l'arbitro del destino” di Lucy e il suo pigmalione. Monsieur Paul sa che la compostezza schiva di quella dimessa miss inglese cela e comprime il desiderio di un cuore ardente.
Ma Lucy non è una statua. È una donna libera e determinata. Lei che con mani tremanti e cuore in tumulto apre e legge le lettere amichevoli del dottor Jhon, nella consapevolezza, malinconica ma non invidiosa, che quell'uomo bello nell'aspetto e nobile nel cuore è destinato alla altrettanto nobile e bella Paulina, non trema davanti a monsieur Paul Emanuel. La relazione con lo stimato professore segna la crescita di entrambi e la reciproca profonda conoscenza. Questa relazione trascende la soddisfazione affettiva egoistica, e libera l'intelletto e il cuore dell'una e dell'altro. Entrambi, infatti, maturano la consapevolezza del loro sé autentico attraverso l'incontro e il conflitto, in un dialogo che è interessante anche sul piano interculturale. In questo senso il punto di vista dell'autrice mette in risalto il rigore etico e la libertà della fede del Protestantesimo a discapito del bigottismo oppressivo della Chiesa di Roma.
Questo punto di vista etico, tuttavia, non impedisce doni scambievoli che culminano nel dialogo conviviale fra Lucy e Paul Emanuel,  in una sera primaverile, allusiva di una rinascita, sul balcone fiorito di una graziosa casa di un faubourg di Villette. In questa casa monsieur Paul ha allestito una scuola per giovani educande, e ora, in procinto di partire per la Guadalupe, ne affida la direzione a miss Snowe.
Nello scambio di doni avviene il riconoscimento reciproco. E il riconoscimento trattiene in se stesso la riconoscenza. È questo il momento dell'inesprimibile: “la parola, fragile, non malleabile e fredda come ghiaccio si dissolveva o si spezzava nello sforzo” ( Charlotte Brontë, Villette, Fazi editore, p. 624).

Qualcuno ha scritto che i lettori di Villette restano delusi dall'assenza di lieto fine.
Non è così.
Charlotte Brontë sa essere visionaria. Celandosi in Lucy, guida il lettore in una traversata senza sponde sicure, e senza l'approdo. Perciò, il capitolo “Finis”, l'ultimo del romanzo, è affidato all'immaginazione del lettore che viene invitato ad inventare gli esiti di una tempesta sull'oceano, tempesta evocata da una scrittura più onirica che narrativa. La penna sembra infatti inseguire le immagini di un sogno, come per comunicare che ogni sostanza della vita, bene e male, dolore e gioia non sono che un sogno che cela qualcos'altro nell'immaginario non finito dello scrittore, o, forse, soprattutto del lettore. Il lettore, infatti, nel corso del racconto, viene ripetutamente apostrofato, come se fosse un testimone coinvolto negli eventi e prendesse parte alla stessa narrazione. In questa volontà di coinvolgere il lettore è distillata la sapienza sacra di Lucy / Charlotte, quella sapienza che trattiene l'emozione e la trasforma in attesa ispirata
“Fermati, fermati subito. È stato detto abbastanza. Non turbare nessun cuore tranquillo e buono; lascia che l'immaginazione speri ancora. Sia concesso di sognare la delizia della gioia che rinasce dal grande terrore, il rapimento della salvezza dal pericolo, il meraviglioso sollievo dell'angoscia, il godimento del ritorno. Possiamo immaginare anche il ritorno e la vita felice che seguirà”.