giovedì 9 maggio 2013

Lettera a Maria Chiara Carrozza, Ministro dell'Istruzione


Gentile Ministro Maria Chiara Carrozza,
Le scrivo sulla decadenza della scuola italiana causata dalle riforme attuate negli ultimi quindici anni e in particolare dalla cosiddetta autonomia scolastica.
Stamani partecipando all'assemblea sindacale, convocata dalle R.S.U. per discutere la ripartizione del Fondo d'Istituto, per l'ennesima volta ho assistito alla squallida rappresentazione del disinteresse degli insegnanti riguardo a tutto quello che accade alla scuola.
Pur essendo state licenziate le scolaresche con due ore di anticipo rispetto al regolare orario delle lezioni, per offrire a tutti i docenti l'opportunità di partecipare alla riunione, l'aula magna era semivuota, disertata da almeno il novanta per cento degli aventi diritto. Sa perché Ministro? Perché la quasi totalità dei docenti ritiene che il Fondo venga speso in attività aggiuntive ritenute poco o per niente necessarie alla educazione ed alla formazione degli alunni, e che esso, comunque, serva solo ad impinguare lo stipendio di pochi, e, per giunta, i soliti. Gli insegnanti sono ormai rassegnati ad ogni evento che piomba dall'alto di qualsiasi istituzione, sia essa il Ministero, o anche lo staff dirigenziale dell'Istituto. Non discutono più di nulla i professori. Basta che siano almeno lasciati tranquilli. Hanno appena appena alzato la testa quando il Suo predecessore, Francesco Profumo, con un colpo di mano, sostenuto dalla pessima idea che l'ex Primo Ministro Mario Monti ha degli insegnanti, tentò di portare a ventiquattro ore l'orario settimanale di cattedra, violando ogni regola contrattuale. Dopo quel momento di riscossa, ahimè, i docenti sono ricaduti nella passività abituale. In effetti essi vivono ogni provvedimento sulla scuola come una minaccia o una punizione, mentre si piegano sotto il peso di giudizi squalificanti che la sottocultura dominante, nonché l'azione devastante di alcune riforme, ha instillato nel sentimento generale della società italiana. 
 A me sembra, Ministro, che nella scuola si rispecchi la separazione, tragicamente evidente,  tra Istituzioni e Popolo, tra Partiti e Base, e, persino, tra Sindacati e Lavoratori, perché, difatti, da qualche decennio, i sindacalisti lavorano solo per mantenere i loro privilegi.
La scuola azienda è drammaticamente divisa come ha voluto, del resto, la prassi riformatrice del “divide et impera”. Da una parte c'è una maggioranza che ritiene importante l'attività curricolare e l'aggiornamento disciplinare continuo, anche riguardo alle strategie di recupero in itinere, avendo sperimentato che gli interventi didattici integrativi sono inefficaci, come del resto hanno sostenuto diversi studiosi di questa prassi di sostegno dei processi di apprendimento. Dall'altra è emersa una minoranza, da alcuni definita oligarchica, rampante e spregiudicata, che difatti attua il P.O.F. sostenendo, senza andare molto per il sottile, la mentalità aziendalistica che ha mutato gli studenti in clienti. Le assicuro, Ministro, che di questioni culturali, di rivoluzione del sapere, di sfida alla complessità della relazione tra i saperi, di apertura all'apprendimento continuo e alla conoscenza di altre culture, di istituire spazi e tempi nei quali potersi confrontare sulla urgenza di mettere a punto nuovi percorsi metodologici non se ne parla proprio. Ci si limita soltanto ad ottemperare alle esigenze burocratiche, con copia e incolla frettolosi nel corso delle insufficienti riunioni dei dipartimenti, alle quali i docenti partecipano distrattamente, anche perché un eventuale impegno nella produzione di idee e progetti non sarebbe remunerato né in alcun modo riconosciuto e gratificato. Talvolta, tuttavia, sorgono gruppi di autoformazione, spinti ad incontrarsi dal piacere di conoscere e di scambiarsi idee ed esperienze. Si tratta, però, di minuscole avanguardie resistenti, e non pagate, che devono accettare supinamente, comunque, i dettati dell'INVALSI, ritenuti inadeguati a sondare la preparazione dei giovani anche da molte personalità autorevoli nel campo della paideia e dell'istruzione. Ma non sia intesa questa lettera come un lamento amaro. Sia accolta come una richiesta di ascolto e di promozione del coinvolgimento degli insegnanti nella progettualità che riguarda la scuola. E sia intesa anche come una richiesta di impiegare il Fondo d'Istituto per riconoscere equamente il lavoro dei docenti, tenendo presente anche il blocco quadriennale dei contratti, e di studiare, mediante una discussione estesa e condivisa, un sistema di valutazione il più veritiero possibile, nella consapevolezza che la verità assoluta è inarrivabile. Le sarei grata se, ad esempio, aprisse nel sito del Ministero dell'Istruzione un forum. Sarebbe così offerta a tutti gli insegnanti l'opportunità di narrare la propria esperienza sulle questioni che ho posto, e di proporre positive soluzioni. In conclusione, esprimo un desiderio: sia concessa quanto prima agli insegnanti un'aggiunta  stipendiale, destinata alla possibilità di andarsene, almeno una volta all'anno, in ritiro per pochi giorni in qualche ameno convento - albergo! Forse anche loro, fuori dalla sede istituzionale, potrebbero “inventare” una bella scuola, favoriti dallo stabilirsi di amichevoli relazioni conviviali.

Cordiali saluti
Giuseppina Imperato 
(docente di Italiano e Latino presso il Liceo “E. Medi” di Cicciano)

giovedì 2 maggio 2013

Farfalle sugli abissi




Quanto più un uomo è consapevole della bontà della vita tanto più assume su di sé il dolore del mondo. “Agnus qui tollit peccata mundi” è “l'agnello che prende su se stesso la sofferenza del mondo”. Questo “prendere” non è volontario, è iscritto nella storia del destino umano, tragico e, pertanto, nobile, nella infinita distanza tra l'amore della bellezza, segnata nell'essere stesso, e il limite del contingente che costringe e crocifigge la forma divisa dall'essenza.
C'è scampo?
Un amico, di recente, mediante un aforisma di Nietzsche, ha detto che, per vivere in pienezza, è necessario apprendere a “danzare sugli abissi”.
Allora, per non precipitare, bisogna che avvenga una metamorfosi, come succede ai bachi da seta. Del resto, lo dice anche il Sommo Poeta “che noi siam vermi nati a formar l’angelica farfalla”,  quando saremo al di là del bene e del male!
Eppure, hic et nunc, il destino umano si svolge ai due capi di un medesimo filo. L'uno conduce al centro del sé, dopo ave reciso i legami coi pesi; l'altro si snoda dallo sguardo, quanto più limpido possibile, verso il mondo, per comprenderlo e assumerne responsabilmente il carico che gli tocca. Questo duplice percorso è necessario all'uomo di oggi.
Pertanto, ci sembra che l'immagine del “danzare sugli abissi” convenga a vite siffatte. Come librata sulle ali della farfalla, la vita non teme il precipizio dei giorni futuri, né l'incombere del passato come di un macigno schiacciante. 
E questa capacità di librarsi si addice tanto al singolo quanto alla polis e ai suoi governanti.
Il mondo non necessita di eroi, ma di uomini liberi e in grado di già, qui ed ora, di andare un po' oltre l'orizzonte del bene e del male, oltre gli stessi sogni di un mondo migliore. Nella leggerezza della danza delle farfalle si disegna, qui ed ora, un'altra forma possibile della vita e della convivenza umana.