giovedì 2 maggio 2013

Farfalle sugli abissi




Quanto più un uomo è consapevole della bontà della vita tanto più assume su di sé il dolore del mondo. “Agnus qui tollit peccata mundi” è “l'agnello che prende su se stesso la sofferenza del mondo”. Questo “prendere” non è volontario, è iscritto nella storia del destino umano, tragico e, pertanto, nobile, nella infinita distanza tra l'amore della bellezza, segnata nell'essere stesso, e il limite del contingente che costringe e crocifigge la forma divisa dall'essenza.
C'è scampo?
Un amico, di recente, mediante un aforisma di Nietzsche, ha detto che, per vivere in pienezza, è necessario apprendere a “danzare sugli abissi”.
Allora, per non precipitare, bisogna che avvenga una metamorfosi, come succede ai bachi da seta. Del resto, lo dice anche il Sommo Poeta “che noi siam vermi nati a formar l’angelica farfalla”,  quando saremo al di là del bene e del male!
Eppure, hic et nunc, il destino umano si svolge ai due capi di un medesimo filo. L'uno conduce al centro del sé, dopo ave reciso i legami coi pesi; l'altro si snoda dallo sguardo, quanto più limpido possibile, verso il mondo, per comprenderlo e assumerne responsabilmente il carico che gli tocca. Questo duplice percorso è necessario all'uomo di oggi.
Pertanto, ci sembra che l'immagine del “danzare sugli abissi” convenga a vite siffatte. Come librata sulle ali della farfalla, la vita non teme il precipizio dei giorni futuri, né l'incombere del passato come di un macigno schiacciante. 
E questa capacità di librarsi si addice tanto al singolo quanto alla polis e ai suoi governanti.
Il mondo non necessita di eroi, ma di uomini liberi e in grado di già, qui ed ora, di andare un po' oltre l'orizzonte del bene e del male, oltre gli stessi sogni di un mondo migliore. Nella leggerezza della danza delle farfalle si disegna, qui ed ora, un'altra forma possibile della vita e della convivenza umana.


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