lunedì 20 gennaio 2014

Le fatate cenerentole del sesto piano

Come Cenerentola arrivo tardi alla festa e per giunta senza scarpette di cristallo. Ma in ciabatte e grembiule. Di soppiatto, mi sottraggo ai fornelli, e mi rannicchio sulla sedia a dondolo lì accanto, davanti allo schermo del televisore
Faccio partire la registrazione di un film uscito un paio d'anni fa. L'ho cercato ardentemente. Stesso regista e stesso attore protagonista del recente “Molière in bicicletta”. Quando m'innamoro di un'opera umana, brucio e cedo volentieri alla passione. E allora devo narrarla. Non per recensire l'opera. Del resto, i critici esperti, se non sono un po' poeti, non mi sono mai andati molto a genio. Racconto sommessamente e alla buona, tanto per … raccontarmi … in fondo.

Ecco, partono le prime immagini col titolo sovrimpresso: “Le donne del 6° piano” di Philippe Le Guay.

Arretro di cinquant'anni, stavolta, per finire al sesto piano di un palazzo parigino, dove si trova anche l'appartamento abitato da un “signorotto-mago della finanza” abitudinario e triste.
Il sesto piano è una sorta di "altrove", interno all'edificio stesso, riservato alla servitù, tutta femminile. Sono serve spagnole, che, a quanto pare, "andavano di moda" in Francia, soppiantando quelle bretoni, negli anni sessanta del secolo scorso (proprio come accade oggi, da noi, col susseguirsi di Filippine, Polacche, Ucraine o Rumene), emigrate per lavorare, ma anche per fuggire dal regime franchista, come testimonia una di loro, la rude Carmen, “pasionaria” comunista, impegnata a volantinare contro le dittature, nei momenti di libertà.
Sono donne autentiche, ingenue e forti, devote e appassionate, generose e accorte. Mandano avanti la casa di signore inconcludenti dell'alta borghesia francese. Volteggiano lievi tra gli acquai e i fornelli, fatate cenerentole dal tocco magico. Laddove si aggirano, tutto risplende e va al suo posto: brillano a specchio i mobili; l'argenteria riluce; si svuotano ceste di biancheria sporca; pile di indumenti accuratamente stirati finiscono in bell'ordine negli armadi.
Un bel giorno arriva in mezzo a loro anche Maria, dolcemente determinata, umile regina dei suoi sentimenti, irresistibile bellezza, adorna di crestina e camice impeccabili. Grazie a lei Jean-Louis, il signorotto, del palazzo - che meraviglia! - può finalmente gustarsi l'uovo à la coque cotto a puntino.
Da questa modesta gioia del palato inizia la metamorfosi del banchiere
Ma la metamorfosi, come è noto, passa per una “discesa” all'inferno attraverso un passaggio segreto. Il varco fatale per Jean-Louis è la porta sulle scale che, inerpicandosi lungo le pareti umide e sbrecciate, salgono, dal suo appartamento confortevole, fino al ballatoio del sesto piano. Qui si aprono le camere delle serve spagnole, che condividono l'unica stanza da bagno, col gabinetto alla turca intasato e maleodorante proprio come l'inferno. Qui dimora anche Maria. 
Va da sé che il mago della finanza si tramuti in benefattore per amore, conquistandosi la stima e l'affetto di quello sconosciuto universo di autentica femminilità.

Ma che importano la storia raccontata e la sua trama! Importa, invece, la compagnia della gioia alata di presenze lievi, nonostante i pesi della vita. Importano i colori inventati da una macchina da presa superbamente sensibile, che m'ha scaldato il cuore, pur rappresentando la crudezza del reale. Quel reale che, agli occhi incapaci di attraversarlo nella sua profondità, sembra l'inferno, e che, invece, può celare speranza di vita inaspettata, come scopre Jean-Louis quando osa esplorare l'ignoto, proprio lì vicino a lui, dentro di lui,  al sesto piano interno della sua casa.


giovedì 9 gennaio 2014

La perfetta solitudine di un misantropo contemplativo

La duna sabbiosa avvalla sulla riva deserta e incolore lambita dal vasto e sensuale scialbore del mare. In questo salmastro eremitaggio Serge, uno dei protagonisti del film Alceste à bicyclette (uscito in Italia col titolo Molière in bicicletta), si rifugia, ripetendo per l'ennesima volta una battuta della commedia Il Misantropo di Molière - ormai detestate l'umana natura… Sì per me è una spaventosa sciagura -.
In questa scena conclusiva, tuttavia, gli occhi ridenti e sereni di Serge, in contrasto con le parole desolate, dicono altro, dicono quello che suggerisce l'oceano dall'insondabile abisso, quell'oceano che nella sua interminata superficie ha accolto e confuso ogni definito colore. 

Questo mare ha, infatti, l'indefinibile colore del nulla e dell'eternità, il colore della perfetta solitudine

Il doppio linguaggio, delle labbra e dello sguardo, suggella, ma nello stesso tempo lo lascia aperto, il senso della storia sottintesa nei dialoghi del Misantropo, che Serge, ritiratosi ormai dalle scene, prova e riprova a recitare col suo amico Gauthier, attore ancora sotto le luci della ribalta, che gli ha proposto di portare in scena insieme a lui la celebre commedia di Molière.

Gauthier, infatti, annoiato dai cliché dell'ambiente dello spettacolo, aspira a un'aria nuova e fresca. Per questo va a stanare, nella piatta Île de Ré, vicino a La Rochelle, il vecchio amico e collega Serge. Serge vive in una vecchia casa selvaggia negli interni e negli esterni, un ambiente adatto ad accogliere una natura umana selvatica, che ha eletto la rude franchezza a sua unica regola di vita. 

Eppure, Serge è solleticato dalla proposta di Gauthier. Giocare il ruolo del misantropo Alceste  di certo gli offrirà l' opportunità di passare al vaglio la sua vita, o, per dire meglio, la vita.
Per Gauthier la rappresentazione della pièce è, invece, l' occasione di rinnovare la sua istrionica bravura. Perciò i due si contendono la parte del protagonista, giocandosela continuamente a testa o croce.

Il tema del doppio intrica lo svolgimento della storia. Serge e Gauthier sono contemporaneamente nella vita e sulla scena. Scena aperta e scena chiusa. La vita e il teatro.
La solitudine isolana aperta allo sconfinato oceano. La solitudine scenica chiusa dalla platea delle attese convenzionali.

Ma, mentre il teatro intrappola Gauthier nel ruolo di un Misantropo dubbioso, l'isola e l'oceano, simbolo ossimorico, liberano Serge alla solitudine spalancata sulla contemplazione.