giovedì 19 aprile 2012

Quando cade una lucciola

"...Una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d'olivi saraceni affacciata agli orli d' un altipiano di argille azzurre sul mare africano... Raccattata dalla campagna la mia nascita fu segnata nei registri della piccola città situata sul colle... confesso che di tutte queste cose non mi sono fatta ancora né certo saprò farmi mai un'idea". (Luigi Pirandello)

Un frammento di stella cade. Una scia veloce nel cielo e poi la materia opaca si disperde. Ma una lucciola è un soffio di luce. È difficile immaginare la caduta di una lucciola. Eppure, in questo frammento autobiografico accade, e l'evento si addensa di domande sul mistero della nascita. Una caduta silenziosa, una goccia di luce dalla fonte. La levità di un lumicino intermittente è il respiro neonatale, che appena appena si ode nella solitudine notturna della campagna affacciata sul mare. E quel “caddi” contiene il dolore di venire al mondo. È il mistero della caduta del soffio di luce in una forma. La poetica del grande agrigentino si dibatte in questo mistero. Ci si affanna per lo più a leggere le opere di Pirandello sorretti dall'analisi impietosa di un' “arte che scompone il reale”. Ci si dimentica delle sue stelle e della sua luna, non meno poetica, anche se più conturbante, di quella leopardiana. Chissà se qualcun altro ha pensato a Pirandello come al poeta del soffio vitale! Eppure sono tante le parole che tentano il mistero e si sporgono sull'abisso insondabile della vita. Lui, glottologo e filologo, negò la verità delle parole per tessere il dubbio e lo stupore davanti all'accendersi improvviso di un geranio mentre “una lucciola” abbandona la forma (Novelle per un anno, Di sera, un geranio), o nel contemplare la vita ignara di un filo d'erba (Novelle per un anno, Canta l'epistola). Nella negazione di ogni possibile definizione è il senso della vita. Quasi un senso apofatico. La vita è oltre ogni parola. Un baluginio brulicante e indistinto che soffre di una forma. Per questo, la nascita è una caduta, una lucciola staccatasi dallo sciame e destinata alla prigione dell'identità. Lo scacco è qui. Nell'identificazione limitante. Da questo momento accade il gioco penoso dei ruoli, delle differenze, della verità affermativa. Ma Pirandello insinua pervicacemente il dubbio e spinge fino alla follia il tentativo di denudarsi, di riprendersi la vita autentica oltre “la nascita raccattata” da qualcun altro e “segnata” nei registri dell'anagrafe. Al “caddi” corrisponde il “raccattata”, anche nella durezza delle dentali allitteranti. In questo frammento autobiografico è denunciata la distanza incolmabile tra la vita autentica oltre la forma e l'identificazione anagrafica dell'individuo. Da quel momento si stringono i lacci, familiari o sociali o culturali che siano. Guai a lasciarsi andare, a contravvenire al rigore! Ma questo rigore, che, il più delle volte, noi stessi ci imponiamo, è più orrendo della morte, che scioglierà ogni laccio, perché ci condanna a perdere l' occasione di conoscere la bellezza e l'amore e di commuoversene. Quella bellezza e quell'amore che si svelano anche nel dolore e nel brillio delle lacrime proibite e trattenute, per paura o per pudore che traspaia la fragilità e lo stupore della lucciola sperduta nella solitudine del mondo.

giovedì 12 aprile 2012

"Trenitalia si scusa per il disagio"

Li rigiro tra le mani i due cartoncini bugiardi! Sono beige e celeste con le scritte in neretto. In alto a sinistra il logo delle Ferrovie dello Stato è seguito dal numero di serie evidenziato con l'arancione. Sono i biglietti di andata e ritorno della tratta Nola – Roma Termini, convalidati il 10 aprile, rispettivamente alle ore 6. 43 e alle ore 16. 58. Il prezzo è di euro 11,70 per ognuno. Costo complessivo del viaggio: 23 euro e 40.

Fa freschetto sul marciapiede del secondo binario della stazione di Nola. L'accelerato veloce (quante suggestioni in questa dicitura insensata!) arriverà alle sei e quarantanove.
Sono le sette e i passeggeri sbirciano le auto che attraversano il passaggio a livello ancora aperto.
Il cielo sereno diventa più chiaro, e le sagome della stazione si definiscono più nette, emergendo dal crepuscolo dell'alba.
Alle sette e cinque si ode il dlindlin che annuncia il treno in arrivo mentre si abbassano, finalmente, le sbarre del passaggio a livello.
Eccole le carrozze anzianotte trascinate dalla motrice!
È un trenino corto corto, ma, in meno di tre ore, mi porterà nella capitale, dalla mia amica che mi aspetta per le nove e quarantacinque a Termini. Forse mi accompagnerà alla mostra su Amore e Psiche allestita in Castel Sant'Angelo. Poi andremo a far visita ad una persona cara ad entrambe, e infine pranzeremo a casa sua tra discorsi fitti di affettuose cose. La saluterò dall' “accelerato veloce” alle diciassette e zero otto, circa.
Mi stringo nello scialle. Il treno stride e s'arresta. Ora si apriranno davanti a me le porte automatiche. Mi volto a guardare le altre entrate e i passeggeri che le attraversano. Avverto come un presagio nelle porte chiuse davanti a me. Un capotreno se ne accorge. Accorre. Monta e aziona manualmente il comando dell'apertura.
Sono sul treno. Mi accomodo sul primo sedile dello scompartimento alla mia destra, investita da un' aria calda e pesante. Lo scossone della partenza mi piace. Libero i pensieri, quieta, mentre la signora accanto squittisce sul ritardo in crescendo del treno.
Sono in trance.
Mi accorgo di un certo movimento davanti a me. Sento qualcuno dire che suo fratello ha vomitato. Alzo lo sguardo e vedo il giovanotto indicare il sedile imbrattato ai malcapitati passeggeri che intanto sono saliti a Maddaloni e cercano un posto per sedersi. Si invoca di ripulire il sedile. Due ferrovieri passano di corsa per lo scompartimento. Si spera che abbiano fretta di provvedere alla pulizia. Invano!
Il treno rallenta e si ferma in aperta campagna. Passa un quarto d'ora. Un odore rancido si diffonde. Mi lascio andare al pensiero amichevole di chi mi aspetta. Il motore riprende a borbottare. Ecco, si riparte. Lentamente.
Il treno si trascina alle porte della stazione di Caserta. Sussulta e si ferma di nuovo.
La signora accanto al finestrino squittisce più fittamente e indica trionfante due macchinisti che corrono avanti e indietro lungo il binario. Di sicuro si tratta di un guasto. Un po' più avanti un'altra signora intona il lamento per l'aereo perduto. Si leva un accorato brusio. Non mi scompongo, nonostante l'aria maleodorante. Mi rammarico solo un pochino di non avere in borsa la boccettina di fresca verbena.
Agonizzante, la motrice approda sul binario tre di Caserta. Il Capotreno fa capolino a capo chino e ci informa, sbrigativo, che i signori passeggeri devono scendere. Il treno è guasto. Sul primo binario un treno nuovo nuovo li porterà fino a Cassino dove li aspetta una corriera che li scorrazzerà fino a Roma. Un pensiero lucido velocemente si forma: “fermati qui e torna indietro”.
Vince il desiderio di rivedere l'amica.
Salgo sul treno e, in un silenzioso dondolio, scorro con gli occhi il susseguirsi delle fermate sul monitor del treno all'inglese: Capua...Teano...Vairano Scalo...Cassino.
Sono le nove e quarantacinque. A quest'ora sarei dovuta arrivare a Roma.
Non importa: quanto più sospirato, tanto più bello sarà l'arrivo.
Esco dalla stazione. Nel piazzale antistante non ci sono autobus. Vado nella sala della biglietteria e invano cerco uno sportello per le informazioni. Perentoriamente mi rivolgo a un bigliettaio che, senza alzare il capo, mi borbotta di prendere il treno che arriverà sul terzo binario alle dieci e un quarto. Bene, ho tempo per un caffè e una sigaretta. La accendo al sole. Poi attraverserò il sottopassaggio. La signora che squittiva è lì vicino visibilmente costernata. Un ragazzo sorridente estrae cartine e tabacco. Ci guardiamo tutto sommato divertiti.
Ed ecco arrivare trafelata una sconosciuta che si mette a parlottare con un ferroviere - a duecento metri due corriere per Roma. Una è già partita e un'altra è pronta -.
Alzo i tacchi e, insolitamente agile, sorpasso un minuscolo assembramento di malcapitati viaggiatori e conquisto un posto di seconda fila a destra, accanto ad una giovane e gentile signorina nera. Ci sorridiamo mentre l'autista con modi, ahimè, sgangherati minaccia di non partire se non sono tutti seduti. La signora del lamento per l'aereo perduto declama ora la levataccia alle cinque. Quella degli squittii annuisce. L'autista ribatte che anche lui è in piedi da quell'ora. Comincio a provare un po' di stizza verso Trenitalia e mi concentro per ricacciare le idee “qualunquistiche” sul declino italiano ammantato di “alta velocità”. Per consolarci, l'autista ammonisce che, traffico permettendo, arriveremo a Roma in un'ora e trenta, altrimenti...manco in tre ore! Mi lascio andare al paesaggio. Passano campi verdi, alberi in fiore, casette, cascinali, borghi in collina. Il traffico scorre anche sul temuto raccordo anulare. Alle dodici in punto in Piazza dei Cinquecento posso abbracciare la mia amica la quale, intanto, grazie al mio lungo viaggio, non ha saltato la lezione di Yoga. Le ammicco che ho tenuto un comportamento degno di una maestra di Yoga. La mostra su Amore e Psiche salta, invece. Saliamo a braccetto sull'autobus che ci porta dalla nostra comune amica. Una visita breve ma intensa di speranza. Voliamo, infine a casa sua. Mi accoglie un pranzo affettuoso, un pane coi semi di finocchio impastato da lei. Tutto sa di amicizia. La lungaggine del viaggio è bell'e dimenticata. Mi affaccio da un bel balcone semicircolare sui tetti di Roma, sotto il cielo d'aprile. Sfioro i rami dell'albero che dal giardino sottostante si leva amichevolmente fin lì.
Mi ricordo dei pensieri di Seneca sul tempo: Il tempo non è breve se sappiamo viverlo.
Ma arriva, comunque, il momento di andare. Alle diciassette e zero otto "l'accelerato veloce" parte per Nola. Fino alla stazione si continua a discorrere. Eccoci al binario del treno. Lo annunciano. Ma segue un avviso stentoreo nella confusione assordante della stazione: - il treno ha come destinazione Campobasso, i signori passeggeri che sono diretti sulla linea Caserta - Nola scenderanno a Cassino, dove li attende una corriera sostitutiva del treno. Trenitalia si scusa per il disagio -.

Trenitalia non ha un'altra motrice da utilizzare al posto di quella guasta!

È noto che nella tradizione letteraria, per rendere tangibile la situazione politica di un paese, viene usata la metafora della nave nel mare in tempesta. Del canto sesto del Purgatorio è famosa l'espressione “Nave senza nocchiero” per rappresentare l'Italia. Penso che i treni delle Ferrovie italiane svolgano, oggi, quella funzione simbolica. I vagoni vecchi e sporchi, la motrice in panne, il personale indifferente e incurante del decoro del proprio lavoro, la battuta di scuse grottescamente ripetuta, e infine i passeggeri sbandati, lamentosi e rassegnati raccontano lo stato di un paese malandato come il treno maleodorante del mio viaggio.
Non mi sono schierata nella polemica a tratti tragica sull'Alta velocità in Val di Susa. E in qualche momento le contestazioni mi sono parse pretestuose.
È innegabile, tuttavia, che un progetto tanto dispendioso appaia dettato da velleitarismo incosciente qualora si considerino le carenze dell'azienda Trenitalia. A meno che non si vogliano negare e calpestare i diritti fondamentali dei viaggiatori che usano il treno necessariamente ogni giorno.