domenica 22 novembre 2015

Molly e le altre. Incontri al femminile in “Mogli e figlie” di E. Gaskell

Ti assomigliano tutte. Cynthia inquieta. Molly pensosa. Ma anche la volubile e distratta Hyacinth. Non ti è estranea la ruvida delicatezza di Lady Harrieth e neppure la sua anfitrionica madre, Lady Cumnor. A momenti, seduta nel salottino ovattato a versare tè bollente nelle chicchere, sei entrambe le signorine Browning, la granitica Sally e la mansueta Phoebe. E persino la discreta presenza della defunta madre di Molly, o quella fragile e fuggevole di Mrs. Hamley ti attraversano. Tuttavia, ammettilo, vuoi essere Molly Gibson, perché Molly Gibson le comprende tutte, e riesce a dominarle nella sua vasta interiorità.

Eppure Cynthia è la seduzione. Dovunque appare, il mondo le gira intorno. È amabile oltre che splendente. E lei gode di essere ammirata e di piacere. Non insegue la felicità, ma il gradimento. Amabile, amata, ma non amante, Cynthia è un'infelice consapevole, lo sai bene. È prigioniera del suo voler piacere a tutti i costi. Morto il padre, si è modellata nella solitudine affettiva, tenuta a distanza dalla madre frivola ed ambiziosa, sospesa in un'esistenza dominata dalla menzogna, incapace di comprendere la vita.

Ma che senso ha la vita? Se non quello del pathos, tutto dello spirito, che ti relega nella solitudine e ti riempie del desiderio di diffondere amore, senza sentimentalismi e facili consensi, accogliendo il mondo buono e quello cattivo, fino a risentirne nella carne? La vita solitaria, anche nel salotto più affollato, è una sensibilità discreta che riesce a comprendere in silenzio tutte le passioni degli straordinari drammi ordinari.

Con questa discrezione lo sguardo innocente di Molly Gibson si posa sul mondo e si educa a celare il dolore, ad amare senza corrispondenza. Si espone noncurante al pettegolezzo delle comari di Hollingford per amore di Cynthia, come può fare solo l'autentica femminilità che ama con libera coscienza. Gli occhi di Molly si sono esercitati a guardare i fiori. Lo spettacolo della natura e dei giardini la ristora. È sua consuetudine contemplare il giardino dal bovindo, in un ritiro luminoso e profumato da cui lo spirito torna rinvigorito. Il bovindo è aperto su un mondo ben più vasto di quello affollato e frastornante nel quale Cynthia sperimenta il suo fascino e si appaga del gradimento che riscuote, nel desiderio vano di scaldare il cuore.

Eppure se non ci fosse Cynthia, Molly non sarebbe. L'una dà modo di essere all'altra. Si specchiano l'una nell'altra.
Ti sembra mirabilmente fatale che il romanzo non sia concluso e che si interrompa proprio quando Cynthia esce di scena per entrare definitivamente nella mondanità, mentre Molly, convalescente, resta a casa.

Nei tuoi occhi è impresso il bovindo a suggello della storia: quel bovindo da cui lo sguardo di Molly si protende, appagato dall'attesa felicità. 


sabato 16 maggio 2015

Risposta alla lettera inviata agli insegnanti dal Presidente Matteo Renzi

Caro Presidente Matteo Renzi,
innanzitutto La ringrazio per La Sua volontà di comunicazione e per la tenacia che mette nel Suo “fare”. In questa Italia bloccata da coloro che desiderano mantenere i privilegi a tutti i costi c'è bisogno di azione politica, pur incorrendo in errori.
-“Solo chi non fa non sbaglia”, professoressa!”- mi diceva un Preside, ora in pensione, che ho avuto la fortuna di incontrare nel corso della mia carriera, quando andavo a raccontargli di quello che sperimentavo per insegnare la lingua e la letteratura latina. Gli errori in effetti sono propri degli uomini erranti sulla terra, alla ricerca di un barlume di verità. E per questo non si può e non si deve mai smettere di cercare il confronto, di guardarsi con gli occhi dell'altro, senza paura e senza mortificazioni, perché l'errore è nel cammino stesso della conoscenza, come ci dicono i Grandi della nostra tradizione letteraria, primo fra tutti il Sommo Dante. La ricchezza della nostra ricerca consiste nel viaggio più che in “Itaca”, ci ha suggerito più recentemente Konstantinos Kavàfis.

Perciò, Presidente, io non ho paura della valutazione. Né della riduzione dei giorni di vacanza e, in fondo, non mi interessa la meritocrazia per un aumento di stipendio. il sacrificio come amore per la vita è segnato nel mio cammino. Del resto, ahimè, alla mia età non c'è da temere nient'altro che gli acciacchi della vecchiaia. Eppure, nonostante gli anni, amo questo mio lavoro sempre di più, perché amo i giovani che mi vengono ogni anno affidati e che mi permettono di continuare a scoprire le meraviglie della creatura umana e di capire un po' meglio me stessa attraverso il dialogo con loro, un dialogo mediato dalle materie che insegno e che ugualmente amo, perché anch'esse sono testi umani, fonte di scoperta e di conoscenza dell'universo interiore e di quello finito e infinito che ci circonda.

A questo punto interviene la difficoltà di raccontarle, succintamente, quanto danno hanno arrecato alla scuola le ultime cosiddette Riforme, innanzitutto quella di Luigi Berlinguer, sostenuta da quei Sindacati che oggi, non capisco perché, ostacolano la Sua, che, stando alla presenza dello stesso Berlinguer all'evento di presentazione della Buonascuola e alle dichiarazioni più volte espresse dagli esponenti del Miur, è la naturale prosecuzione di quella riforma.
Di quella Riforma, come della Sua, disapprovo l'introduzione e la conferma dell'Autonomia. Delle altre, soprattutto di quella del Ministro Gelmini, preferisco non parlare, potrei scivolare nel turpiloquio.

Dacché esistono l'Autonomia scolastica e il P.O.F. nella scuola è intervenuto il disastro. L'organizzazione delle attività è stata tutta spostata sul profitto, ovvero su come gestire il cosiddetto budget d'istituto, invertendo il processo naturale della programmazione educativo-didattica. Non solo. Di anno in anno, una molteplicità di interessi di vario genere ha inficiato l'attività didattica. Una marea di progetti ha distolto gli studenti dallo studio delle materie, e quindi da una buona formazione delle competenze logico-linguistiche, proprio quelle stesse competenze che si pretende di verificare con i test INVALSI. Se lei prendesse visione del diario di quest'anno scolastico, ormai prossimo alla fine, si renderebbe conto di quante ore di lezione mi sono state rubate da svariate attività extracurricolari.
Ora io le voglio chiedere:
  1. Un progetto che voglia indurre a riflettere sulla legalità è insito, tanto per fare qualche esempio, nella lettura dell'opera di Cesare Beccaria o di suo nipote Alessandro Manzoni?
  2. L'ecologia e, per esempio, la questione della “terra dei fuochi”, sulla quale tanto si ciancia anche per andare in “vetrina”, non è presente anche in alcune odi di Parini e nei contenuti del programma di scienze?
  3. Le tragiche vicende dei naufraghi, dei richiedenti asilo, dei vinti non sono vive e strazianti nei grandi testi della letteratura mondiale, da Omero fino a Khaled Hosseini?
  4. Il dibattito sulla conoscenza continua, sull'unità del sapere, sulla civiltà e il progresso non è scritto a lettere di fuoco nel De rerum natura di Lucrezio?
  5. E i drammi del cuore umano non sono rappresentati nell'immortale Teatro Greco e cantati nella lirica classica?
  6. E l'esempio di un' eloquenza bella e schietta (O tosco che per la città del foco vivo t'en vai così parlando onesto...) non è diffuso nella grande oratoria classica, nella poesia, e nella saggistica della letteratura?
  7. E la questione della verità in fuga e baluginante nel panorama interculturale del mondo globalizzato non la si coglie studiando le scoperte della fisica moderna?
Potrei continuare per pagine e pagine per dimostrarle che nello studio delle materie c'è la possibilità di fare esperienza della vita e del mondo.

Tutta questa ricchezza l'Autonomia l'ha dissipata. Ancora, per fare un esempio concreto, per andare a vedere il film di Martone gli alunni della quinta classe hanno perso un'intera mattinata di lezione, nonostante ci fosse la possibilità di assistere allo spettacolo, di pomeriggio, in tutti i cinema del circondario. Ma la figura strumentale addetta al P.O.F. così aveva decretato. Malignamente penso a chi ci ha guadagnato. Si trattano dei diciottenni come degli incapaci di scelte culturali e poi si proclama la centralità dello studente! E, in sordina, si ritengono gli insegnanti ignoranti e inadeguati, fermi al “pessimismo” del poeta di Recanati e insensibili al quel pensiero lucido e progressivo raccontato nelle Operette Morali e dolorosamente dipinto nelle ultime poesie, Il tramonto della luna e La ginestra. “Ahimè, gli uomini hanno amato le tenebre piuttosto che la luce!” E il rafforzamento dei poteri del Preside e delle figure del suo staff renderà ancor più tenebrosa l'Autonomia.

Non prenda, Presidente, queste mie parole come il lamento di una prof frustrata. Le legga piuttosto come l'elegia civile di una donna che spera che il meglio deve ( e può) ancora venire.
Per questo, La prego di rivedere il punto dell'Autonomia. È quello che mi preoccupa di più. Di fatto il progetto formativo è diluito e disperso in rivoli aridi, che si seccano e non arriveranno al mare, a quell'orizzonte che schiude le possibilità infinite del pensiero.

Inoltre, se vogliamo menzionare anche la questione della valutazione, credo che essa debba puntare sulla esperienza cognitiva e metacognitiva dei docenti, a partire dalla competenza disciplinare e dalla capacità di darle un senso nella relazione educativa. È difficile, lo so. Ma in qualche modo lungo il cammino accadrà la luce. In questo senso credo che vadano formulate le regole per i concorsi che in futuro regaleranno fresche forze alla scuola. C'è molta strada da fare, ma non abbia troppa fretta, Presidente! Soprattutto La esorto a non sottomettere la scuola alla crisi occupazionale, se Lei autenticamente ritiene che una buona scuola inventerà l'Italia buona e bella che c'è ma è celata, sopraffatta dal chiasso dei “gufi” ;).

Approvo, naturalmente, l'incentivazione da spendere in beni culturali e sostengo fortemente l'iniziativa per l'autoformazione permanente. Al riguardo posso dirle che negli anni passati, grazie alla freschezza culturale e all'intelligenza di un collega, abbiamo inventato un'attività di questo tipo, non remunerata da nient'altro che dalla nostra soddisfazione. Eravamo una decina di insegnanti sì e no. Avevamo dato ai nostri incontri il titolo di “caffè pedagogico”. E si partecipava solo per il piacere di studiare e discutere. Niente vetrina, niente soldi. Ora non si fa più. La maggior parte dei partecipanti è andata in pensione. I giovani non hanno tempo. Sono proni alle scelte del P.O.F.
Che ne pensa, Presidente? Spero di ricevere una sua considerazione, anche se volesse rottamarmi ;). 

In attesa, La saluto cordialmente,
Giuseppina Imperato








domenica 15 febbraio 2015

Alcesti: il dono e l'ospitalità


Misterioso è l'affiorare di un ricordo, come il formarsi dei sogni. Un turbamento all'origine di entrambi, conscio o inconscio, smuove l'opacità del quotidiano, la fruga, e fuga nebbie stratificate. Meraviglia e dolore scuotono la normalità.
Così è affiorata Alcesti, eroina dimenticata, tenera e coraggiosa in attesa della morte, Tànato, che vanta con Apollo il tocco funesto della sua spada e gode della gloria di rapire una giovane vita.

Qualcuno, forse, si chiederà chi sia Alcesti. Alcesti è la moglie di Admeto, il re di Fere, in Tessaglia. La sua storia fu messa in tragedia da Euripide.
Quando il destino di morte fu decretato per Admeto, Apollo ottenne che qualcuno potesse offrirsi al suo posto. Ma nessuno accettò questo sacrificio, nemmeno i genitori dello sfortunato re. Solo la sposa Alcesti donò la sua vita per la salvezza di Admeto.

La tragedia mette in scena il culmine della sventura abbattutasi sulla casa di Admeto. Dopo il suo ingresso nell'orchestra, il coro commenta il dolore e piange la regina sposa e madre. Ci attraversa il cuore una frase - Quando sui buoni piomba la sciagura, triste divien chi buono è per natura – perché ci fa pensare a come il dolore si espanda dall'individuo alla comunità, quando ancora il sentimento della morte non sia stato rimosso e fugato da un voler ignorare a tutti costi il destino dell'uomo.
Lo stesso Admeto, del resto, accetta il sacrificio della sposa. E giustamente il re Ferete, incolpato dal figlio come responsabile del sacrificio di Alcesti, perché, nonostante la tarda età, ha avuto paura di morire al suo posto, gli rinfaccia che lui stesso ha avuto orrore della morte.
Nel dialogo tra padre e figlio si manifesta il pensiero del buon senso comune, e cioè che la vita è cara più d'ogni altro bene e che nessuno vuole perderla neppure chi è vecchio e cosciente del tempo esiguo che gli rimane. Il logico buon senso fa dire a Ferete - La luce t'è cara. Pensi che al tuo padre cara non sia? Della mia vita, certo, poco mi resta; e il poco è pur dolce: ben lunghi giorni sotterra passerò: ma tu, tu combattesti svergognatamente, per non morire; e vivi; e sei sfuggito al tuo destino, e uccisa hai la tua sposa.-

La sposa Alcesti mentre sente che lo spirito vitale l'abbandona è soprattutto la madre che, smarrita, saluta le sue creature scongiurando gli dei di allontanare da loro un triste destino. La fragile e generosa Alcesti non è per niente plateale, è un'eroina dimessa e casalinga, osa appena appena implorare Admeto di non dare ai suoi figli una matrigna. Lei che muore anzi tempo per amore sa bene che il tempo guarisce le perdite e che Admeto si consolerà prima o poi della vedovanza. 
La storia si svolge nella casa di un re, ma la grandezza di Euripide è in quel suo rappresentare la tragedia della normalità smorzando i toni e sfatando i miti.

Ma cosa c'è di più eroico di un dono così grande offerto nel silenzio domestico? Questa eccezionale dimensione la comprende bene Eracle che viene ospitato da Admeto proprio nel momento in cui si compiono i funerali di Alcesti. L'eroe non sa quale lutto abbia colpito il re di Fère, ma, conosciuta la verità, scende nell'ade e combatte con Tànato fino a che non gli strappa Alcesti e la riconduce alla vita. 
La tragedia termina con l'incredulo Admeto che si vede consegnare dal figlio di Zeus una sconosciuta da ospitare. Quella sconosciuta che tace misteriosa innanzi a lui è la sua sposa. Ad Alcesti, dice Ercole, non è concesso udire le voci di chi l'ama “se pria non venga purificata dagli influssi inferni, e giunga il terzo giorno”
Il dramma si chiude con l'espressione di giubilo di Admeto che esclama la sua felicità, mentre noi ci sorprendiamo a meditare sulla bellezza e la verità del senso di questa storia: il dono della vita e il dono dell'ospitalità sono più forti della morte.