domenica 31 dicembre 2017

La statuetta, il vassoio e la fiaba

L'ultimo giorno dell'anno è carico di bilanci e di aspettative. Si fa una cernita degli eventi e, perlopiù, si scartano tutti i momenti brutti e dolorosi e si conservano i successi e tutto ciò che ci è parso bello, nella speranza che il nuovo anno sia colmo solo di felicità. Ed è giusto che sia così.

Ma io nelle ultime ore di quest'anno ho negli occhi e nel cuore tre oggetti che porterò con me per l'avvenire: una statuetta di Maria con le mani aperte e teneramente protese; un vecchio vassoio ovale d'acciaio; e, infine una fiaba dei fratelli Grimm, “Fratellino e sorellina".

Questi tre oggetti sono un filo rosso nella mia vita.
Il primo e il secondo provengono dalla mia casa di ragazza, una casa di campagna alle falde del Vesuvio dalla quale lo sguardo può abbracciare l'intero golfo di Napoli e le sue isole, o perdersi oltre l'orizzonte, tra mare e cielo.
Il terzo è custodito nel cuore, nei ritmi dell'infanzia, il tempo in cui si ignora il confine tra il reale e il fiabesco.

Ma questi tre oggetti rappresentano soprattutto il legame con mio fratello, il quale teneramente ha salvato dalle rovine del tempo sia la statuetta che il vassoio, e me li ha lasciati in preziosa eredità.
In questa eredità, infatti, c'è il valore inestimabile della speranza nell'accoglienza e nell'ospitalità. La statua e il vassoio testimoniano che da una perdita indicibilmente dolorosa sono germogliati due segni di amore. 
Mi sembra, quindi, che questi due oggetti dicano che niente va scartato dalla nostra vita, né  dall'anno che sta per finire. Neanche il dolore.
Sicché, per il nuovo anno mi immagino braccia protese a sorreggere vassoi colmi di tenerezza per gli ospiti.

Infine, ritorno alla lettura della fiaba, nella quale, come in tutte le fiabe, c'è  qualcosa di vero, sebbene nella realtà non sempre le sorelle riescano a salvare il capriolo dalle insidie del bosco.
Lo svolgersi della vita nel tempo è difatti disegnato nei limiti della fragilità umana. Per questo, auguriamoci che, nell'anno che verrà, la prima amorevole accoglienza, il primo dono ospitale siano offerti alla nostra fragile umanità.