sabato 22 marzo 2014

La luce della neve nel cuore antico di Lucy Snowe

Per leggere Villette di Charlotte Brontë il cuore deve farsi landa candida di neve, il cui gelido bagliore di emozioni trattenute possa comprendere il cuore antico di Lucy Snowe (il nome è un ossimoro rivelatore, evocando ed accostando gli opposti campi semantici di “luce” e di neve”), narratrice interna ed eroina nivea del racconto. Se si è in grado di vivere questo contrasto, seduti in solitaria ombra, si scoprirà il mondo con la medesima perspicacia di Lucy, i cui occhi bevono luce dal cuore, un cuore educato a dominare il dolore precocemente vissuto. Sul cuore vigila, infatti, la mente, come sentinella ostinata delle passioni. Ma, in questo sforzo di compressione dei sentimenti e di volontaria rinuncia alla felicità, nell'illusione che il venir meno del desiderio preservi dalla delusione e, quindi, dall'infelicità, capita, talvolta, che la mente, assediata da una sorta di febbre, ceda. Allora, finalmente, Lucy sprigiona dal cuore sepolto nella neve quell'energia appassionata della sua anima anticonformista.

Nel passato di Lucy sono celati eventi dolorosi, che non vengono narrati, come se il pudore, custode della sacra intimità, trattenesse la voce e la penna.
Pudore e forza d'animo sono, del resto, le due virtù coltivate da Lucy. E queste virtù le permettono di scoprire la sua vocazione per l'insegnamento.
Nell'incipit del romanzo si è costretti a cercare un cantuccio in ombra e ad assumere, come fa Lucy, il ruolo di osservatori. Lucy, infatti, ancora adolescente, osserva il teatro della vita e ne intuisce le trame, che sono già compiute nella sua visionaria immaginazione. Lo sguardo analitico è sorretto dalla calda ispirazione che la natura ha elargito generosamente a Lucy, quasi per ricompensarla di quella mancanza di avvenenza tanto rimpianta in qualche pagina cruciale della narrazione. Ed è il rimpianto per la bellezza negatale dalla sorte a rendere umana e oltremodo femminile Lucy Snowe. In questi momenti, il ghiacciato pensiero, vinto dalle emozioni, si incrina, si scioglie la neve e denuda le passioni del cuore.
Un cuore siffatto mira alla contemplazione della bellezza e alla ricerca della verità. Ed è il cuore di una donna che, per vocazione riconosciuta e narrata, accompagna al compimento del loro destino coloro che si imbattono in lei.

Sicché, la sorte vuole che Lucy lasci l'Inghilterra e che, al di là della Manica, in una cittadina della Labassecour, l'immaginaria Villette, verosimilmente Bruxelles, sia assunta come insegnante di Inglese presso un educandato femminile diretto sapientemente da una donna astuta e calcolatrice, madame Beck.
A convincere madame dell'affidabilità di Lucy è monsieur Paul Emanuel, parente della direttrice e carismatico insegnante nella medesima scuola. Questo “ometto bruno e smilzo, con gli occhiali” è “l'arbitro del destino” di Lucy e il suo pigmalione. Monsieur Paul sa che la compostezza schiva di quella dimessa miss inglese cela e comprime il desiderio di un cuore ardente.
Ma Lucy non è una statua. È una donna libera e determinata. Lei che con mani tremanti e cuore in tumulto apre e legge le lettere amichevoli del dottor Jhon, nella consapevolezza, malinconica ma non invidiosa, che quell'uomo bello nell'aspetto e nobile nel cuore è destinato alla altrettanto nobile e bella Paulina, non trema davanti a monsieur Paul Emanuel. La relazione con lo stimato professore segna la crescita di entrambi e la reciproca profonda conoscenza. Questa relazione trascende la soddisfazione affettiva egoistica, e libera l'intelletto e il cuore dell'una e dell'altro. Entrambi, infatti, maturano la consapevolezza del loro sé autentico attraverso l'incontro e il conflitto, in un dialogo che è interessante anche sul piano interculturale. In questo senso il punto di vista dell'autrice mette in risalto il rigore etico e la libertà della fede del Protestantesimo a discapito del bigottismo oppressivo della Chiesa di Roma.
Questo punto di vista etico, tuttavia, non impedisce doni scambievoli che culminano nel dialogo conviviale fra Lucy e Paul Emanuel,  in una sera primaverile, allusiva di una rinascita, sul balcone fiorito di una graziosa casa di un faubourg di Villette. In questa casa monsieur Paul ha allestito una scuola per giovani educande, e ora, in procinto di partire per la Guadalupe, ne affida la direzione a miss Snowe.
Nello scambio di doni avviene il riconoscimento reciproco. E il riconoscimento trattiene in se stesso la riconoscenza. È questo il momento dell'inesprimibile: “la parola, fragile, non malleabile e fredda come ghiaccio si dissolveva o si spezzava nello sforzo” ( Charlotte Brontë, Villette, Fazi editore, p. 624).

Qualcuno ha scritto che i lettori di Villette restano delusi dall'assenza di lieto fine.
Non è così.
Charlotte Brontë sa essere visionaria. Celandosi in Lucy, guida il lettore in una traversata senza sponde sicure, e senza l'approdo. Perciò, il capitolo “Finis”, l'ultimo del romanzo, è affidato all'immaginazione del lettore che viene invitato ad inventare gli esiti di una tempesta sull'oceano, tempesta evocata da una scrittura più onirica che narrativa. La penna sembra infatti inseguire le immagini di un sogno, come per comunicare che ogni sostanza della vita, bene e male, dolore e gioia non sono che un sogno che cela qualcos'altro nell'immaginario non finito dello scrittore, o, forse, soprattutto del lettore. Il lettore, infatti, nel corso del racconto, viene ripetutamente apostrofato, come se fosse un testimone coinvolto negli eventi e prendesse parte alla stessa narrazione. In questa volontà di coinvolgere il lettore è distillata la sapienza sacra di Lucy / Charlotte, quella sapienza che trattiene l'emozione e la trasforma in attesa ispirata
“Fermati, fermati subito. È stato detto abbastanza. Non turbare nessun cuore tranquillo e buono; lascia che l'immaginazione speri ancora. Sia concesso di sognare la delizia della gioia che rinasce dal grande terrore, il rapimento della salvezza dal pericolo, il meraviglioso sollievo dell'angoscia, il godimento del ritorno. Possiamo immaginare anche il ritorno e la vita felice che seguirà”.


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