giovedì 21 aprile 2011

Ombre della Lanterna Magica

Mi è piaciuto Habemus Papam di Nanni Moretti. È una metafora delle prigioni in cui le vite umane si lasciano rinchiudere. La rappresentazione è tuttavia segnata da una regia intrisa di “pietas”, perciò si esce dalla sala come sollevati e pervasi da un sentimento di pietosa accoglienza verso se stessi e verso gli altri.


Mi sembra che il film ci metta davanti a due strade: l'una conduce alla prigione dei ruoli, professionali o istituzionali, nella quale si cerca scampo all'angoscia nelle droghe (siano esse tranquillanti, dolci succulenti o stordenti giochi solitari), e nelle risposte rassicuranti del linguaggio - “formula magica”, semplificante e risolutivo, della psicanalisi, come lo stesso Moretti, nella parte del dottore, suggerisce con la sua voce, quasi fuori campo. L'altra strada, aperta all'avventura della vita, si snoda imprevedibile nel teatro del mondo.

La trama del film è poeticamente intertestuale. Il mio vissuto ne ha colto due citazioni.
La prima è implicita nella “peripezia” della trama: la fuga per le strade di Roma del papa, sul cui sguardo mite e inquieto insiste la macchina da presa, mi ha ricordato quella della principessa ansiosa di vita (Audrey Hepburn) in “Vacanze romane”. Ma la “favola” diretta da William Wyler si conclude malinconicamente, perché la protagonista, dopo un tuffo inebriante nel brulichio della vita, torna alla responsabilità del suo ruolo, rinunciando all'amore. I passi di Gregory Peck, che rimbombano solitari sul pavimento di marmo, scandiscono l'addio e la distanza incolmabile tra il Palazzo e la vita.
La seconda, esplicita ed emblematica, consiste nella stessa “peripezia” della vita – teatro, e rievoca “Il Gabbiano”, il dramma metateatrale in cui Anton Čechov rappresentò le sconfitte causate agli uomini dalle “passioni tristi”. Ma le due citazioni nel film di Moretti sono rovesciate nel senso e nell'epilogo. Infatti, il protagonista non torna nella dorata prigione, si libera dell'angoscia e si avventura sorridente nei “giochi” della vita.

Infine, vorrei soffermarmi su quella sequenza allusiva, lievemente misteriosa, che mostra “l'ombra” di un “Papa che non c'è” scivolare al di là di una tenda ondeggiante alla finestra. Migliaia di occhi sono appuntati a quell' “ombra” illusoria. Per me è questo il momento poetico del film: l'evocazione ambiguamente affascinante del gioco d'ombre della “lanterna magica”, e del “vano” oltre le maschere dei ruoli e della personalità .

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