mercoledì 13 aprile 2011

Madri di Speranza

Quando penso a mia madre è come se la vita che alimentò nel suo grembo si rinnovasse in me. Non solo mia madre mi diede alle “divine spiagge della luce”, ma mi ispirò, pur nel breve cammino della sua vita, l'energia della fiducia. Non conosceva la disperazione mia madre. Le difficoltà quotidiane erano come una sfida da accettare sorridenti. Il mio sorriso è il suo: un'impronta della speranza nella mia anima. A pensarci bene, il dialogo con mia madre non si è mai interrotto. L'alba che la vide chiudere gli occhi, molti, molti anni fa, mi accompagna con la luce della fiducia nel giorno che verrà. Inconsapevolmente, nelle scelte minute del quotidiano, come in quelle più importanti della mia vita, dialogo con mia madre. Da queso intimo colloquio mi sento come guidata a contemplare, sempre, la luce.
Non potrò mai dimenticare quanto le piaceva ascoltarmi recitare la poesia A mia Madre di Edmondo De Amicis:

Non sempre il tempo la beltà cancella
o la sfioran le lacrime e gli affanni:
mia madre ha sessant'anni,
e più la guardo e più mi sembra bella.

Non ha un accenno, un guardo, un riso, un atto
che non mi tocchi dolcemente il core;
ah, se fossi pittore,
farei tutta la vita il suo ritratto!

Vorrei ritrarla quando china il viso
perch'io le baci la sua treccia bianca,
o quando, inferma e stanca,
nasconde il suo dolor sotto un sorriso

Pur, se fosse il mio priego in ciel accolto,
non chiederei del gran pittor d'Urbino
il pennello divino
per coronar di gloria il suo bel volto;

vorrei poter cangiar vita con vita,
darle tutto il vigor degli anni miei,
veder me vecchio, e lei
dal sacrificio mio ringiovanita.

E mi ascoltava con gli occhi lucenti di gioia, fiera della mia grazia un po' leziosa, più che commossa dal senso dei versi. Del resto, lei era ancora giovane, così lontana dalla canizie e dal fatidico traguardo dei sessanta!

Il tempo passa e la storia continua. Così si è svolto il filo della mia storia intrecciandosi ai fili di tanti destini.

Oggi sono una mamma ancora in cammino, eppure mi sento così poco madre!

Mi ricordo di un romanzo di una drammaturga libanese, Abla Farhoud. Narra di una donna, analfabeta e sottomessa, che, rimasta giovanissima orfana di madre, emigrata dal Libano in Canada col marito e cinque figli, ormai anziana, libera la voce e affida la sua storia alla penna della figliola scrittrice. Il titolo del libro è emblematico, “La felicità scivola tra le dita”. Contemplate questa immagine: mani delicate che sfiorano i sogni nel fluire della vita. È il tocco gentile della protagonista che, con lieve sentire, si avventura per i sentieri della memoria e lungo il suo vissuto relazionale. Anche i percorsi più dolorosi sembrano alleggeriti dalla narrazione liricamente malinconica. Mi si è stampata nella mente un'affermazione in particolare: “forse la donna privata della madre in tenera età non sarà mai pienamente madre”. Mi ci sono sentita in questo pensiero. Esprime una condizione che vivo. O sarà solo un'illusione delle parole...”madre”...”figlia”? C'è qualcosa di più che non so spiegare. Un senso di generosità verso la vita stessa, la generosità dell'essere donna, figlia e madre allo stesso tempo. È una forza tutta femminile, una forza lieve, impalpabile come le sete predilette, la forza della grazia che è il suggello della donna. Una grazia assoluta e impenetrabile che trattiene la donna sempre sul “limitare di gioventù”, nonostante il trascorrere degli anni, che nulla possono sottrarre a questa grazia e che semmai le conferiscono una assorta sorridente malinconia. Chi può dimenticare la “vecchierella” leopardiana che siede sulla scala a filare “Incontro là dove si perde il giorno; / E novellando vien del suo buon tempo, / Quando ai dì della festa ella si ornava, / Ed ancor sana e snella / Solea danzar la sera intra di quei / Ch’ebbe compagni dell’età più bella.”? È una immagine della “bellezza” che completa quella della “donzelletta” che avanza a passo di danza volgendo le spalle al “calar del sole”.
Madre e figlia e nonna è Dounia, la protagonista del romanzo “ la felicità scivola tra le dita”. E mi sorprende la compresenza degli stati della vita in questa donna che mantiene la freschezza sentimentale e la speranza, pur essendo presente nel quotidiano coi gesti più familiari alle donne, le carezze amorevoli ai nipoti, la discreta partecipazione alla vita della figlia, emancipata e indipendente scrittrice di successo.
E questa figlia diventa la narratrice di Dounia, la madre analfabeta. La figlia accoglie in sé la storia della madre, ne incarna le parole e dà voce alla speranza.
Chissà! Forse non è importante tanto sentirsi madri, quanto raccontare storie ispiratrici di speranza.
“La felicità scivola tra le dita”, ma la gioia della speranza è uno stato aperto al divenire della vita!

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