giovedì 7 gennaio 2016

Romola: come un ipertesto


Chi non ha provato lo spaesamento stupito mentre, col fiato sospeso, alza gli occhi dall'epilogo di una storia avvincente? Si sta in limine tra mondi confinanti, come se il corpo fosse alleggerito e alzato in volo dalla fantasia. E si rimane per un bel pezzo in compagnia di fantasmi tutt'a un tratto tornati vivi. 

Ferve la mente affollata di quei fantasmi insieme ai quali ha attraversato i ponti fiorentini di notte e in pieno giorno, all'alba e al tramonto. Corre dalla Signoria al Duomo, sosta davanti al "bel San Giovanni", si precipita in San Marco, dove ferve tra i domenicani l'accesa mente di Gerolamo Savonarola. Sbircia curiosa l'uscio delle botteghe. Eccola quella del barbiere Nello, dove si intrecciano pettegolezzi e giudizi politici. Guarda là, appoggiato allo stipite, quel pensoso osservatore! È nientemeno che Messer Niccolò Machiavelli! E, in via Gualfonda, quella porta, su cui risalta "il pesante martello avvolto in una fasciatura di lana" affinché non sbatacchi sgradevolmente, apre alla casa - bottega dello stravagante e scontroso Piero di Cosimo. Ma ora scappa, mente! Ecco, avanza fragorosamente Dolfo Spini a capo dei Compagnacci. Ripara a San Miniato, su, su, oltre Boboli, sotto al forte del Belvedere! Ma forse anche lì t'inquieti. Chi sarà mai quel vecchio  confuso dagli occhi scintillanti che meditano vendetta? Inoltrati allora in via dei Bardi, sosta davanti a quella austera dimora che custodisce una biblioteca di antichi testi sfiorati amorevolmente da un padre cieco e da lui letti grazie ai grandi occhi nocciola di sua figlia Romola! Scorgi quel bel giovane moro e ricciuto che attraversa la soglia? È uno straniero, greco, destinato a portare scompiglio in quelle sale silenziose, e a destreggiarsi astutamente tra le fazioni fiorentine, riaccesesi dopo che il Magnifico ha chiuso per sempre i suoi occhi. 

La mente fervida di una scrittrice, George Eliot, ha scritto questo romanzo straordinario che si intitola Romola, per dare risalto alla protagonista femminile, nelle vicende della quale sono sparsi sapientemente gli interrogativi sulla complessità della storia e della cultura umanistico-rinascimentale. 

L'opinione più comune annovererebbe quest'opera tra i romanzi storici. E del resto, essa risponde a quei famosi precetti manzoniani che sono "il vero per soggetto, l'interessante per mezzo e l'utile per iscopo". 
Ma potremmo non essere d'accordo. Sarebbe forse meglio collocare Romola tra gli ipertesti. Il romanzo infatti testimonia che la mente umana si accende in maniera reticolare, pur bruciando in una fiamma narrativa principale. Come una lingua di fuoco si sprigiona da uno scintillio, così la narrazione di Mary Anne Evans (vero nome della Eliot) origina da  una conoscenza emozionata della storia di Firenze negli anni che seguirono alla morte di Lorenzo de' Medici.

Naturalmente, l'esperienza cognitiva fornisce alla scrittrice quella banca dati che è alla base del racconto. Ma, come ha dimostrato Italo Calvino nel suo metanarrativo "Castello dei destini incrociati", la banca dati di una storia si struttura in un labirinto, in cui anche le figure storiche, come i tarocchi, sono funzionali ad un intreccio di destini. Questa funzione non intacca, comunque, la veridicità dei personaggi, ma contiene, in nuce, l'interpretazione di un narratore / lettore.

Quel che sembra interessante è la possibilità di navigare all'interno del testo, per scoprire poi che la funzione narrativa ha dato vita alle notizie storiche, inserendole poeticamente nel progetto fantastico. Si potrebbe azzardare che alla Eliot riescano, meglio che allo stesso Manzoni, gli obiettivi narrativi sopra menzionati, al punto che non si saprebbe dire se Gerolamo Savonarola sia un personaggio storico o fantasticato, così come Tito Melema sembra un protagonista reale degli intrighi fiorentini successivi alla cacciata di Piero dei Medici. 
Ma tornando alla questione del genere letterario, a sostegno di una costruzione narrativa emotiva ipertestuale si potrebbe giocare a riscrivere il testo in forma ipertestuale  multimediale, evidenziando i nodi che consentono di percorrere più di un sentiero, geo-storico, artistico, filosofico, letterario. 

Tuttavia in quest'opera indefinibile non manca un topos letterario universale, quello del Locus amoenus, presente quasi alla fine del racconto. Ma qui, questa rappresentazione, paradossalmente, genera una distopia, perché, sullo sfondo di un ameno paesaggio marino, si configurano scene di abbandono e di pestilenza. Eppure, in questo altrove anonimo si compie la trasformazione di Romola e, da qui, succedono la rinascita e il ritorno a Firenze.
All'appassionata ricerca storica dell'autrice, pare ricondurre anche il ritratto fisico della protagonista. I grandi occhi nocciola, le chiome dorate ricadenti in trecce e il volto dolce e grave a un tempo si possono, forse, contemplare in un dipinto di Piero di Cosimo, Santa Maria Maddalena che legge, conservato nella Galleria Nazionale di Palazzo Barberini (http://galleriabarberini.beniculturali.it/index.php?it/141/piero-di-cosimo-santa-maria-maddalena). Non è casuale, quindi, che Romola sia stata educata dal padre, fervente umanista, a leggere e ricopiare i testi classici.

In conclusione, quest'opera poco nota meriterebbe di essere conosciuta per  motivi molteplici. Tralasciando l'evidentissima, nonché scontata, valenza storica, essa si dispiega come un racconto ispirato da una ricerca vissuta e rielaborata da una mente fervida e critica.

Come un volo sull'eterno ritorno delle vicende umane si svolge il proemio, nel quale l'ombra del grande Lorenzo si aggira nella sua città, desiderando "scendere e ascoltare la parlata dei fiorentini". Ma l'autrice la dissuade:
 "i cambiamenti sono tanti e la parlata dei fiorentini ti sarebbe incomprensibile come un indovinello. ... Queste cose non sono cambiate. Il sole e l'ombra portano, come allora, le loro bellezze e fanno risuonare nei cuori le stesse corde al mattino, a mezzogiorno e alla sera; i bambini sono ancora il simbolo delle eterne nozze fra amore e dovere; e gli uomini non hanno smesso di desiderare il regno della pace e della giustizia, di pensare che la vita più nobile sia quella che si sacrifica spontaneamente - visto che il Pastore Angelico non è ancora arrivato".

1 commento:

Maristella Tagliaferro ha detto...

Bellissimo post, grazie Pina!
Non conoscevo questo romanzo di George Eliot, lo leggerò